Parla di sé, della sua storia e del suo vino con disincantata semplicità. La stessa con cui gestisce le sue “verticali”, favolose e del tutto prive di formalità, le bottiglie “libere” a disposizione dei degustatori, senza servizio né ordine imposto. Disarmante, in un mondo in cui la retorica (d’ogni tipo) pare valore obbligato nella “predicazione” d’ogni etichetta (specie le più pregiate) e l’unico trasversale tra tutti i partiti del vino, dai cosiddetti “naturali” agli storyteller al servizio di grandi brand. Ma Andrea Franchetti, già wine lover, poi distributore “beginner” in Usa e “studente” di wine making a Bordeaux, fa davvero repubblica a sé. Oggi è produttore, famoso in Toscana come sull’Etna. Ma sentite come narra in una fresca intervista l’approdo in Val d’Orcia, nella terra e la casa dove è nato il Trinoro: “Era maggio, ho preso un materasso, l’ho buttato a terra e ho dormito lì. Subito m’è parso tutto talmente bello che sono rientrato a casa a Roma, ho preso dei vestiti, sono uscito e mai più rientrato”. Lì ha iniziato “imparando a fare il vino col tempo”. E ha imparato davvero. Lo dice la stima globale di cui gode il Trinoro, e il livello degli ultimi prodotti. Come il 2015, testato due volte a breve scadenza (in due “verticali” appunto) e in palese vigoroso cammino. Ricco, denso, potente ma a suo modo fine, frutti scuri a dominare, promette splendori; ma dà già gioie veraci.
(Antonio Paolini)
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