“Abbiamo deciso, e presto annunceremo dazi del 25% (sui prodotti made in Ue, ndr), in generale, sulle auto, ma anche su tutte le altre cose”: parole del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che, ieri, nella prima riunione di gabinetto del suo secondo mandato alla Casa Bianca, ha “rinforzato” le promesse sul tema lanciate in campagna elettorale, suscitando l’immediata risposta Ue che, per voce del vicepresidente della Commissione, Stéphane Séjourné, ha detto che “l’Europa reagirà immediatamente e con fermezza. Domani saremo in viaggio verso l’India, con l’obiettivo di diversificare le nostre partnership. Gli ostacoli al commercio equo sono ingiustificati, soprattutto tra partner commerciali. È una situazione in cui tutti perdono: le aziende americane, quelle europee e i consumatori”.
Altro non fosse perché l’interscambio di beni tra Usa e Ue è stimato in 1.500 trilioni di euro, che si muovono su un asse che vale il 30% del commercio globale di beni e servizi, ed il 43% del Pil mondiale, secondo le stime del Consiglio Europeo. Tutto da capire, ancora, se i dazi arriveranno davvero e quando, ma l’allerta ora sale più che mai, anche per il vino italiano, che, in Usa, esporta per una cifra intorno ai 2 miliardi di euro, un quarto del suo totale, e per tutto l’agroalimentare, che vede negli Stati Uniti il suo primo mercato extra Ue, con 7,8 miliardi di euro su 69 di export totale (elaborazioni di Coldiretti su dati Istat).
Peraltro in un contesto economico americano già difficile, con consumi di vino in generale calo, pur con una crescita importante nel 2024 per le importazioni di vino italiano. Come detto chiaramente da Trump, nel mirino ci sarà l’industria dell’auto Ue, motore economico fondamentale dell’Unione Europea, ma è difficile pensare che l’agroalimentare europeo la passi liscia. “Loro (l’Ue, ndr) non accettano le nostre auto, essenzialmente non accettano i prodotti della nostra agricoltura, mentre noi accettiamo tutto questo da loro. Io amo tutti i Paesi europei, ma l’Unione Europea è stata formata per truffare gli Stati Uniti, e hanno fatto un buon lavoro, ma ora sono Presidente”, ha detto senza mezze parole Trump.
Nella prima ondata di dazi del precedente mandato di Trump (all’epoca motivati dalla disputa tra Airbus e Boeing), il vino italiano fu salvato, mentre a subire i danni diretti maggiori furono sostanzialmente, soprattutto, le produzioni francesi. Ma ora è difficile capire se ci saranno differenze nel trattamento tra diversi Paesi Ue, cosa che appare improbabile viste le parole di Trump. E in ogni caso, come sottolineato dal Ministro degli Affari Esteri italiano, Antonio Tajani, “le risposte sulle questioni dei dazi sono di livello europeo, e ne parleremo a livello europeo, dialogheremo e cercheremo di trovare le migliori soluzioni possibili per tutelare i nostri interessi in un rapporto transatlantico che non deve deteriorarsi, però noi dobbiamo tutelare i nostri interessi e le nostre imprese e trovare delle soluzioni che permettano alle nostre realtà di essere competitive. Abbiamo una strategia. Stiamo lavorando già da mesi sulla questione dei dazi e andiamo avanti, senza agitazioni, ma con determinazione e forza per tutelare le nostre imprese. Il Governo è determinato”.
Ad ora, dalle organizzazioni di categoria dell’agricoltura e del vino italiano, pochi i commenti ufficiali, anche se, nei giorni scorsi, agli “Stati Generali del Vino” a Roma, le maggiori rappresentanze della filiera avevano espresso più di una preoccupazione (qui la nostra intervista ad Albiera Antinori per Federvini, Lamberto Frescobaldi per Unione Italiana Vini - Uiv, e Luca Rigotti del Gruppo Vino Confcooperative). Oggi si sta alla finestra, in attesa di capire più in dettaglio quali prodotti, eventualmente, e in che misura, Trump vorrà colpire.
Anche se a lanciare una nuova stima è la Coldiretti, secondo cui “un dazio del 25% sulle esportazioni agroalimentari made in Italy negli Usa potrebbe costare ai consumatori americani fino a 2 miliardi di euro in più, con un sicuro calo delle vendite, come dimostrato anche dalla precedente esperienza nel primo mandato di Trump. Se i dazi dovessero interessare l’intero agroalimentare, il costo stimato per le singole filiere sarebbe di quasi 500 milioni solo per il vino, 240 milioni per l’olio d’oliva, 170 milioni per la pasta, 120 milioni per i formaggi”, sostiene Coldiretti. Secondo la cui analisi (su dati Istat), i dazi imposti nella prima presidenza Trump “su una serie di prodotti agroalimentari italiani hanno portato ad una diminuzione del valore delle esportazioni (confronto annuale tra 2019 e 2020) che è andata dal -15% per la frutta, al -28% per le carni e i prodotti ittici lavorati, passando per il -19% dei formaggi e delle confetture e il -20% dei liquori. Ma anche il vino, seppur non inizialmente colpito dalle misure, aveva fatto segnare una battuta d’arresto del 6%”. “L’imposizione di dazi sulle nostre esportazioni aprirebbe ovviamente uno scenario preoccupante, tanto più in considerazione dell’importanza che il mercato statunitense ha per le nostre produzioni agroalimentari e non solo - rileva il presidente Coldiretti, Ettore Prandini - negli Usa l’agroalimentare italiano è cresciuto in valore del 17% contro un calo del 3,6% dell’export generale, confermando ancora una volta che il cibo italiano è un simbolo dell’economia del Paese. Per questo crediamo che debbano essere messe in campo tutte le necessarie azioni diplomatiche per scongiurare una guerra commerciale che danneggerebbe cittadini e imprese europee e americane”. Peraltro resta da capire quale potrebbe essere la ritorsione dell’Unione Europea all’eventuale imposizione dei dazi Usa. Alla mossa della prima presidenza Trump - ricorda Coldiretti - l’Europa aveva risposto apponendo tariffe aggiuntive del 25% su una serie di prodotti simbolo del made in Usa agroalimentare come ketchup, formaggio cheddar, noccioline, cotone e patate americane, oltre a salmone, noci, pompelmi, vaniglia, frumento, tabacco, cacao, cioccolato, succhi di agrumi, liquori come vodka e rum.
A fare una prima possibile stima dell’impatto per il vino, nei giorni scorsi, era stata Unione Italiana Vini, guidata da Lamberto Frescobaldi, secondo cui, con dazi ipotizzati al 20% sui vini fermi e al 10% per gli spumanti, la perdita secca per il vino italiano sarebbe intorno ai 330 milioni di euro, con un calo stimato del 15%, basandosi sull’esperienza francese occorsa tra metà 2020 e il primo trimestre 2021, quando, a fronte di dazi caricati del 25% (come quelli promessi oggi da Trump, in generale) la risposta del mercato sui volumi commercializzati è stata direttamente proporzionale (-24%).
Un quadro complesso, che richiede prudenza e sangue freddo, ma, comunque, allarmante, in un periodo, ormai anche piuttosto lungo, di difficoltà importante per il mercato del vino. Con dazi sui prodotti Ue (che rappresentano la gran parte dell’oltre 30% di vino straniero che viene consumato e venduto in Usa) nel primo mercato mondiale del vino, che avrebbero conseguenze pesanti e difficili da recuperare, come sanno bene in Francia, che li ha già subiti tra il 2019 ed il 2021, e dove una filiera, già in grande crisi, si prepara ad un’onda d’urto, che, speriamo, non arrivi. Con qualche flebile speranza, almeno sul fronte prettamente enoico, che arriva dalle parole di Mirella Menglide (Ice New York), secondo la quale, tra importatori e buyer, non ci sarebbe stata una grande corsa alle scorte per far fronte ad eventuali dazi. Il cui rischio, però, in poche ore, è diventato molto più concreto.
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