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Un “identikit olfattivo”, i cui tratti sono quasi 2.000 composti aromatici, che legano inscindibilmente il Trentodoc, metodo classico “di montagna”, al suo territorio. A dirlo una ricerca della Fondazione Mach e Università di Modena e Reggio Emilia

Italia
I vigneti della cantina del Trentodoc Maso Martis dominati dalla montagna

Un “identikit olfattivo”, i cui tratti caratteristici sono quasi 2.000 composti aromatici, capaci di dire “senza se e senza” ma da dove arriva un vino. Nello specifico il Trentodoc, metodo classico “di montagna”, inscindibilmente legato al suo territorio non solo dalle caratteristiche gustative, ma anche dall’olfatto. Lo dimostra, in maniera scientifica, una ricerca nel progetto “Ager - Nuove metodologie analitiche per la tracciabilità geografica e varietale di prodotti enologici”, che ha messo insieme la Fondazione Mach di San Michele all’Adige, le Università di Modena e Reggio Emilia, e i Consorzi Trendoc e dei Lambruschi Modenesi, presentati oggi a Trento per “Trentodoc: bollicine sulla città” (http://goo.gl/yylM9G).
“Il progetto è stato finanziato da una serie di fondazioni bancarie - spiega Fulvio Mattivi, coordinatore del Dipartimento Qualità Alimentare e Nutrizione della Fondazione Edmund Mach - e noi abbiamo scelto il tema della tracciabilità, anche in collaborazione con l’Ispettorato Centrale Repressione Frodi. Si tratta di un progetto esportabile in aree diverse e in produzioni diverse. La ricerca sugli spumanti Trentodoc si è mossa su tre direttrici fondamentali: vite e territorio, dove abbiamo effettuato analisi degli isotopi, dei metalli pesanti e così via, con alcune novità; analisi genetiche, cioè approcci molecolari sul Dna dei vitigni nei vini, dove però ci sono ancora dei limiti; l’analisi dei vini in base agli aromi, con tecniche nuove per l’Italia. I risultati complessivi - prosegue Mattivi - dal punto di vista conoscitivo, e non di marketing, sono interessanti, pur, evidentemente, trattandosi ancora di un “work in progress”. In particolare, i risultati sulle analisi aromatiche ci hanno condotto alla scoperta di 1.700 composti aromatici volatili e non, dieci volte quelli conosciuti. E abbiamo visto che 970, di fatto, ricorrono sempre, gli altri sono variabili a seconda del vitigno, della tipologia di prodotto, dell’invecchiamento, dell’affinamento e così via. Abbiamo analizzato tutti i Trentodoc in commercio dei 38 produttori - conclude il ricercatore - e, per esempio, abbiamo determinato che le caratteristiche delle uve coltivate in clima freddo lasciano una traccia indelebile nel vino finito”.
I ricercatori sono riusciti a definire un modello in grado di attribuire una carta di identità ai vini, combinando le caratteristiche varietali, grazie alle moderne analisi sul Dna, a quelle geografiche, ricostruibili con le analisi sugli isotopi presenti nei terreni di coltivazione, e declinando in modo dettagliato lo spettro aromatico dei vini stessi, anch’esso peculiare e derivante dal clima e dai terreni particolari dove si produce un certo vino. La metodologia seguita dai ricercatori, infatti, si è basata sulla analisi chimica (metalli, isotopi radiogenici e stabili e metaboliti organici) e molecolare (analisi del Dna) dei vini. Le attività sperimentali si sono distinte per il carattere fortemente innovativo delle metodologie analitiche messe in campo dai diversi gruppi di ricerca e per le piattaforme tecnologiche utilizzate, spesso uniche nel contesto nazionale.
Attraverso l’utilizzo di indicatori quali i rapporti isotopici di bioelementi, di elementi radiogenici piuttosto che il contenuto di metalli o i profili di fingerprint forniti dalle tecniche di risonanza magnetica o di spettrometria, è oggi possibile correlare tra loro le peculiarità del territorio con le caratteristiche delle viti, seguire le trasformazioni prodotte dalla filiera produttiva sino ad arrivare al vino finito capace ancora di comunicare la sua zona di origine.
“L’aspetto interessante, anche per il consumatore, è che mentre sperimenta e degusta - aggiunge Mattivi - i diversi Trentodoc delle diverse cantine, troverà, comunque, una matrice comune, identitaria, che non lo disorienterà, pur nella varietà dei singoli spumanti. E poi c’è l’ulteriore riscontro scientifico della complessità dello spumante metodo classico, che è il vino più complicato in assoluto da produrre. Complessità che si ritrova, infatti, nella struttura olfattiva, e dimostra che quando i sommelier, per esempio, usano termini anche insoliti per descrivere i tanti odori di un vino, sono odori che si inventano, ma che sono davvero nel calice”.

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