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Il Sole 24 Ore

Borsa spa studia un «listino» per i vini ... Più la qualità del vino aumenta, più cresce l’interesse dei capitali finanziari a investire nel settore. Attenzione però, il vino
può diventare anche un interessante “strumento” finanziario a patto che mercato abbia regole codificate e trasparenti. In caso contrario il rischio è di alimentare un’illusione che non aiuta né risparmiatori, né i produttori.
Questo è il messaggio che gli esperti delle istituzioni bancarie e finanziarie, della produzione e del mondo scientifico hanno lanciato ieri dal Salone del vino in corso al Lingotto di Torino. Secondo Paul de Sory, della facoltà di Economia dell’Università di Torino, “investire in vino è un atto reale che può essere assimilato a un investimento finanziario in titoli, sempre che il contratto del vino sia comparabile con quello in titoli”, ma anche quando
lo fosse resta il fatto che “il vino non può essere assimilato a un bene rifugio classico”, perché in fondo il vino è un bene deperibile. Però chi ha investito 100 lire cinque anni fa in vino ha guadagnato un po’ meno rispetto a chi ha comprato obbligazioni, ma non ha perso come chi ha comprato azioni o altri beni deperibili. Il vino, quindi, nel medio periodo rende, ma il
suo contratto deve essere trasparente e accessibile a tutti. Un aspetto, quello della regolamentazione, su cui ha insistito il responsabile della divisione Derivati della Borsa Italiana, Raffaele Jerusalmi, secondo il quale più la qualità del vino migliora e più il matrimonio tra vino e finanza è possibile. I benefici per il mondo del vino sono reali in quanto il contratto di borsa permette al produttore di accedere a risorse economiche utili al processo produttivo dell’azienda stessa. Per fare questo, però, è necessario che esistano dei veri contratti di borsa. Ed è a questo che Borsa Italiana vuole arrivare con lo studio di fattibilità a cui sta lavorando in collaborazione con Mediobanca. E sui controlli insiste il presidente di Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro, che ha promosso un confronto con l’associazione corrispondente francese per arrivare a codificare un metodo unico di verifica dei vini destinati ai mercati dei Paesi terzi. Un capitolo, quello delle esportazioni, che l’Osservatorio del Salone del Vino-Ismea ha deciso di monitorare con maggiore assiduità. Tanto più che nei primi sette mesi dell’anno l’export ha registrato una crescita del 10,3%, nonostante in termini quantitativi si sia verificato un calo del 5,5%.

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