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Corriere Della Sera

Bordeaux, 54 degustatori beffati da un rosso falso: vino colorato artificialmente dai docenti per un esperimento della Facoltà di Enologia ... Prima il bianco e poi il rosso. Del bianco hanno sentenziato che era miele, pompelmo, burro, e persino idrocarburo. Nel rosso hanno invece notato la violetta, il cacao, il tabacco, e addirittura un sentore di animale. I 54 degustatori, scelti tra i migliori studenti della facoltà di Enologia, non sapevano che bianco e rosso erano uguali, non sospettavano che i loro professori avevano usato un colorante e dunque quel colore rosso era falso. Insomma il bianco era stato tinto di rosso e nei due bicchieri c’era lo stesso identico vino, un bianco del 1966, vitigni Sémillon e Sauvignon. Ovviamente, trattandosi di esperimenti universitari e scientifici, il colorante usato per tingere di rosso quel bianco era totalmente inodore e insapore (E163, due grammi per litro). Ed è inutile aggiungere che i professori Gil Morrot, dell’Istituto Nazionale di Ricerca sugli Aromi (Inra) di Montpellier, e Frédéric Brochet, dell’università di Bordeaux, non sono due monelli e neppure due inguaribili astemi. E’ anzi da gentiluomini che si comportano evitando ogni malizia sulla scienza del vino. Si limitano a registrare freddamente che la degustazione è un’illusione doppiamente orale, poiché è al tempo stesso boccale e verbale. Il vino, si sa, lavora la lingua; e sempre il vino e la parola si sono fatti complici. Eppure chissà quanti miti, simbolismi, evocazioni e saggezze i due professori potrebbero adesso demolire sbeffeggiando l’ homo bibens e la sua idea che « in vino veritas ». Quando respiravano il bianco-bianco, con gli occhi chiusi e le narici sgranate, i sapienti degustatori di Bordeaux percepivano la paglia, ma quando invece inumidivano le labbra con il bianco-rosso sentivano il pepe. Insomma, gli aromi, pur sprigionandosi da uno stesso vino, si smentivano e si incrociavano, andavano e venivano in una gerba di sentori: «Questo bianco sa di pane, al contrario il rosso sa di sottobosco». Inesauribile, il discorso sul vino è infatti come il discorso su Dio o il discorso sul nulla, con il sospetto che non bastino tutte le parole del vocabolario per definire l’Indefinibile o per coprire il vuoto. Da bravi accademici, Morrot e Brochet hanno illustrato la ricerca con grafici e specchietti, l’hanno redatta in inglese intitolandola «The color of odors», e l’hanno arricchita di note, rimandi e bibliografie. In sintesi, sostengono che è il colore a produrre l’illusione, soprattutto quella olfattiva, e spiegano che ogni odore ha il suo colore, e che il vino rosso rimanda, sempre e comunque, a metafore scure, mentre il bianco, sempre e comunque, a metafore chiare. Insomma, mai un rosso saprà di limone e un bianco di amarena, neppure se i nostri due professori spremessero un limone nel rosso, o riuscissero in qualche modo a schiarire visciole e amarene e nasconderle nel bianco. E naturalmente la colpa (o il merito) dell’illusione sta, come al solito, nella nostra corteccia, area V1, e non certo nella cultura del vino, nella sua assenza di sostanza, nella poesia che da sempre accompagna la nostra sete, visto che si mangia in prosa e si beve in versi. Eppure, sotto sotto, questo esperimento è più prossimo allo scetticismo di quanto vorrebbe far credere la freddezza scientifica, e i due studiosi sono forse più ambiziosi della loro già apprezzabile ricerca. Forse mirano a una moderna critica del gusto, e a una più generale smobilitazione del luogo comune. Si scopre infatti che i due ricercatori hanno aggiunto un terzo vino, un vero rosso questa volta, vitigni Cabernet-Sauvignon e Merlot, e hanno fatto ben trecento test triangolari, cambiando le luci e i bicchieri, e ripetendo due volte le degustazioni. Ebbene, i degustatori hanno respirato le parti più volatili, poi hanno afferrato gli aromi meno volatili, quelli che hanno bisogno di un primo riscaldamento del palato; quindi il contatto con il vino si è fatto umido, vellutato, rotondo, e infine pieno, completo, e perfetto. A quel punto il bianco-rosso, cioè il vino colorato, è sempre risultato molto più simile al rosso vero, piuttosto che a se stesso, vale a dire al bianco-bianco.

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