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Il Sole 24 Ore

L'etichetta dei vini diventi carta d'identità ... Carramba che sorpresa... fuori ma soprattutto dentro. Parlo di una bottiglia, non di una persona, anzi di più etichette di un produttore friulano, Marco Perco dell'azienda agricola Roncus di Capriva. Perché questa attenzione a 360° piuttosto insolita a un rosso o a un bianco di cui, di solito, si apprezza solo colore e profumo, sapore e gusto. La ragione non è un'etichetta d'autore o dal tratto affatto originale, bensì di ciò che contiene in parole. Niente paura non è una frase griffata o un pensiero d'artista. È semplicemente la carta d'identità del vino. Più volte mi sono chiesto le motivazioni per le quali gli alimenti devono mostrare il loro passaporto, sempre più specifico, a cominciare dalle acque minerali, al cioccolato, alle bevande mentre i rossi, i bianchi e le bollicine possono mantenere l'incognito. Non solo questi, pure la Coca Cola e la Nutella sia chiaro. Non ho alcun intento processuale, ma in un mondo sempre più "inquinato", colmo di scandali alimentari, mi pare giusto che ogni volta che si assaggia un rosso o un bianco o un rosè o le bollicine si debbano conoscerne i contenuti. Mi piacerebbe conoscere di un vino gli ettari di vigneto dove è nato e cresciuto, non solo il numero di bottiglie prodotte che, da sole, non danno alcuna informazione utile. Vorrei sapere quali lieviti sono stati usati, se ha subito l'assalto dei trucioli o di polvere di legno. E a questo proposito voglio citare una lettera di un lettore (Flavio Carcereri de Prati di Colognola ai Colli) che, mesi or sono, mi scriveva: «I trucioli di rovere di Slavonia o castano, a mia memoria, ho 73 anni, si usavano nel governo alla toscana, ma sicuramente anche nel Veneto, nel 1935». Davvero strano il legno nel vino (invece del vino nel legno) già presente negli anni 30 quando ancora, nel 2003, l'Ue deve ancora deliberare sui trucioli. Speriamo davvero non segua quei Paesi che hanno dato l'ok con la creazione delle spremute di Pinocchio. Certo è che, visto il precedente riguardante l'uso fino al 5% degli oli vegetali nel cioccolato, c'è poco da stare allegri! Vorrei ancora rinvenire nella contro etichetta, oltre alla ormai diffusa e barbosa dizione affinato o elevato in barrique (quasi a giustificarne il prezzo, ma durerà o dura minga?) anche l'utilizzo del concentratore. Insomma una fotografia completa di ciò che si sta assaggiando che, visti i rincari negli ultimi due anni, non sono certo regalati. La trasparenza dell'informazione premia sempre i produttori più seri, di cui penso la penisola sia ricca. Di conseguenza non vedo contro motivazioni a non fornire le schede d'identità. L'azienda agricola Roncus è una splendida eccezione. Nella contro etichetta del suo eccellente Bianco Vecchie Vigne '99, così come nel Val di Miez '99 che mi ha conquistato e ancora nel Tocai, nel Pinot Bianco, nel Sauvignon, nel Merlot (davvero tutti di grande livello) viene presentata la tracciabilità (così come imposta dall'Ue ai prodotti agricolo-alimentari): vitigno o vitigni, ettari, tipo di vendemmia, macerazione, fermentazione a cui fa seguito il valore analitico (alcool, volatile, solforosa, acidità, zuccheri, ph). Un'informazione davvero più utile di quei banali consigli di accostamento con i piatti o dell'indicazione della temperatura di servizio (quella temperatura ambiente consigliata che risale a 30 anni fa quando gli appartamenti magari non disponevano di riscaldamento). Voglio ancora restare in Friuli, una regione che dopo un breve periodo di appannamento è in grande risalita, perché mi ha colpito anche la Ribolla Gialla di Podversic Damijan di Gorizia, un seguace di Josko Gravner, ottenuta come lui scrive da fermentazione in tini di rovere aperti per 8 giorni senza controllo di temperatura e senza uso di lieviti selezionati, terminata la fermentazione, va in botti da 500 litri usate e lì resta per un anno. Sine qua non.

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