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Corriere Della Sera

«Svelo i segreti delle dinastie del vino». Nelle sale italiane il documentario di Nossiter, già lanciato a Cannes. L’autore: ogni imprenditore è contadino e artista, l’interesse per l’agricoltura nasce dal mio passato di cameriere-sommelier ... Jonathan Nossiter, regista «sempre meno americano da quando comanda Bush», residente in Brasile, amante dell’Europa, al quarto film fa centro, stappa il successo. Con Mondovino , in uscita con la Bim l’8 aprile (tagliato, dura 135 minuti), è stato un caso al Festival di Cannes. «Non era pronto, anche se ci avevo lavorato tre anni e mezzo nella più totale sfiducia della gente. Dopo il Festival mi diedero altri soldi e ripresi a lavorare». Come nasce l’interesse per il vino?
«Iniziai facendo il cameriere e il sommelier, ma mio padre era giornalista del New York Times . Mi piace il vino perché somiglia alle persone: è come l’amicizia».

Come ha lavorato?

«Girando il mondo a parlare per 500 ore, vissute con piacere, con le dinastie della vinicoltura, in America e in Europa, con grande attenzione per l’Italia. Documentario che è anche fiction, ogni imprenditore di vino è contadino e artista: mi sembrava di essere in un romanzo di Balzac».

Cos’è il vino?

«L’espressione dell’essere umano, la sua storia, la sua cultura: il terroir è il territorio, la nostra radice, il vino è un testimone, Italia e Francia sono le tradizioni».

Come il cinema?

« Somigliantissimo nella tensione tra atto commerciale e culturale. Nei ’70 ci fu il boom del vino californiano mentre Hollywood sperimentava Cassavetes, Scorsese e Coppola, che è stato l’unico produttore di vino a non voler essere intervistato. Con Reagan il vino divenne solo commerciale e oggi con Bush siamo alla speculazione pura, lavaggio del cervello, il vino è oggetto porno-economico».

Ma lei parte dalla Borgogna.

«Caso classico. Gran terroir , crisi negli anni ’70, cura tossica sbagliata, risveglio con l’antica cultura».

Lei ha intervistato molti magnati delle viti, anche famosi italiani come Frescobaldi e Antinori: è un inventario?

« No, sono partito con un amico filmaker. Poco alla volta le interviste mi hanno fatto capire la valenza culturale di chi fa vino, il passaggio umano delle generazioni, l’importanza della convivialità».

Ora come va la produzione vinicola?

« Ci sono buoni vini ovunque dal Brasile al Friuli, ma anche molti pericoli, primo tra tutti l’oligopolio dei mezzi di produzione. Oggi il re è il marketing che per sua natura produce bugie: è difficile distinguere, valutare».

In Italia?

« Il pericolo è la banalizzazione, l’infantilizzazione del gusto zuccheroso: vale il parallelismo con la politica e il cinema. Facciamo vini ad effetti speciali, anche Tarantino è l’altra faccia della violenza Usa di Bush».

Cos’è Mondovino ?

«Un atto d’amore per l’essere umano. L’uva che si fa vino è una magìa, una grande espressione della civiltà, lo specchio vero della complessità dell’uomo».

Le piace Sideways ?

«Carino, una lettera d’amore sull’umanità del vino».

Che valore ha oggi il documentario?

« Deve arginare la cultura delle bugie e il cinema dettato solo dal marketing. Non perdiamo le differenze del vino altrimenti perdiamo noi stessi».

E’ un film per intenditori?

«Assolutamente no, il mio vino non è un pretenzioso stile di vita, è per persone che non se ne interessano, ma forse lo scopriranno».

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