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Il Sole 24 Ore

Povero vino in crisi di identità ... Lo stile è l’originale espressione propria di un’epoca, di un genere …. Mi chiedo se il vino made in Italy ne trasmetta uno riconoscibile, così come ha proposto in passato la Francia e oggi offrono l’ Australia, e la California. La mia risposta è affatto negativa. L’Italia dei vini è sempre stata una babele di stili; attualmente più che mai, caratterizzata contemporaneamente da un’attrazione verso il gusto internazionale o all’opposto dal ritorno ai “sapori autoctoni“. Uno stop and go per il made in Italy perché costruisce nel consumatore estero solo confusione. Viene da chiedersi quale giudizio maturi un tedesco o uno svizzero di fronte ad una degustazione che offra contemporaneamente cabernet o merlot sovrastati dal legno o sirah rotondi e vellutati, prodotti in Italia difficilmente distinguibili dagli stessi vini prodotti ormai in ogni parte del mondo , assieme a vini ottenuti da vitigni quali il Montepulciano d’ Abruzzo, Aglianico, Amarone, Barolo, Brunello di Montalcino, Nero d’Avola, Sagrantino, Primitivo etc. Il mercato internazionale, costruito con competenza e abilità da altri, ha condizionato le scelte dei produttori italiani che, pur di correre dietro ai gusti altrui hanno abbandonato uno stile proprio. Viene da chiedersi però se negli anni’ 60-80 ci fosse un made in Italy del vino ben definito. Non lo era di certo quello rappresentato dal fiasco (perlomeno nel contenuto, la forma però era un elemento di identificazione, mai posseduto da alcun paese), né da molti vini ricchi di difetti, neppure lo erano le cisterne in viaggio verso la Francia, ma l’impronta del barolo, del barbaresco, del Brunello, dei bianchi del Collio aveva indubbiamente una sua riconoscibilità. Negli anni della Grande Confusione, vicenda davvero bizzarra, proprio questi vini che avevano retto il Barnum del made in Italy hanno cominciato a segnare il passo. E viene da chiedersi se proprio questi rossi di punta non abbiano cercato, in qualche modo, di “somigliare“ troppo a quei vini trionfanti nel mondo dal gusto internazionale, lasciando in vigna la propria identità?. Certo pecunia non olet, ma le scelte di breve periodo qualche volta, possono essere “ cieche“, non sarebbe stato meglio non farsi condizionare dal mercato?. Il senno di poi, serve a ben poco. A quanto pare si è ormai chiusa l’epopea dei vini dei falegnami, delle spremute di Pinocchio: il legno piace sempre meno, speriamo non abbia inizio l’era dei trucioli e dei chips, ma quale è lo stile del vino made in Italy?. Alcune blasonate squadre di calcio continuano a ricorrere agli stranieri, senza risultato alcuno, perché attingere anche nel vino a modelli esogeni ?. E’ chiaro che non sarebbe utile far in modo che tutti i rossi e i bianchi dei mille territori fossero uguali, ma è strategico ricercare l’unità nella diversità (vitigni autoctoni) . Così come ha affermato un grande artista: “per diventare universali è necessario essere locali“. Il vino italiano ha bisogno di uno stile, di un’impronta che faccia affermare al consumatore straniero:”sto bevendo un rosso o un bianco made in Italy“, pur avendo mille dialetti (vitigni autoctoni); altrimenti i concorrenti del nuovo mondo diventeranno i nuovi padroni del vapore. Comunque è davvero bizzarro che anche i francesi siano in una fase di travaglio; viene da chiedersi se ciò non dipenda dalla ricerca spasmodica di apprezzamento del guru R. Parker, il quale per gratificare impone uno stile, il suo, cioè del mercato americano. Quale stile dunque per i nostri vini?. La risposta anche al ministro delle politiche agricole del prossimo governo che dovrà orientare le scelte, soprattutto con un piano di marketing-paese. Speriamo che Lui se la cavi ...

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