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Corriere Della Sera

Una rincorsa lunga un secolo Più birra che vino (fuori casa) ... La moda di servirla al ristorante. “Ma non superare tre bicchieri”... Estate del 1907, un secolo fa. In giro per l’Italia tra tante novità destinate a un certo successo, dal cinematografo all’automobile, i cartelloni pubblicitari annunciano l’arrivo di una “nuova bibita gassata”. Le caratteristiche del prodotto saranno illustrate perfettamente dalla reclame pubblicata su un quotidiano qualche anno più tardi: “Bevetela durante i pasti. Facilmente digeribile, contenente sostanze toniche e nutrienti. E indicata anche perle donne, i vecchi e i bambini. Assicura sonni tranquilli e umore lieto”.
L’avete riconosciuta? Probabilmente no. E oggi comunque nessuno si sognerebbe di metterla nel biberon del suo bebè. Perché in cent’anni la birra è molto cambiata. E, soprattutto, sono cambiate le abitudini degli italiani: la bibita dissetante e nutriente è diventata la bevanda (non troppo) alcolica preferita dai giovani. Ne sa qualcosa il sindaco di Milano, Letizia Moratti, costretta a recintare le centralissime Colonne di San Lorenzo perché ogni notte diventavano un campo minato di lattine e soprattutto bottiglie di vetro, ancora più cool.
Un secolo fa. quando i pochi birrai italiani che già la producevano da decenni decisero di riunirsi in associazione, la si vendeva nelle piazze di paese assieme al ghiaccio (altro bene raro) da fine giugno a inizio settembre. Ma non è che la gente impaurisse: se ne beveva, in media, mezzo litro all’anno. Oggi è un simbolo, un’etichetta, un trend. E non solo al pub o in pizzeria, Quest’estate, nei ristoranti stellati, va molto con il pesce. Qualche abbinamento? “Salmone affumicato e weizen, oppure ostriche e stout, la scura irlandese”, consiglia Marco Bolasco, curatore della guida “Ristoranti d’Italia” del Gambero Rosso. Risultato: il consumo ha superato quota 30 litri. Record assoluto, il doppio di 25 anni fa (nel frattempo il consumo di alcol si è dimezzato). E, per la prima volta, la birra è l’alcolico più bevuto nei pasti fuori casa durante la settimana. Esattamente dal 19,8% degli italiani, mentre il vino è preferito dal 18,8 per cento.
La storia della “bibita gassata” che in cent’anni ha conquistato l’Italia è molto antica. Pare che, nel quattordicesimo secolo, bevesse birra papa Clemente V, pontefice nato nell’attuale Germania. E prima ancora dei tedeschi furono egizi e sumeri a fermentare strane “zuppe” di cereali. Prendendola molto seriamente: il Codice di Hammurabi (1792 avanti Cristo) condannava chi non rispettava i criteri di fabbricazione, per esempio annacquandola, alla morte per annegamento. In Italia i primi a produrla furono i monaci di Montecassino, nel Medioevo. Solo che non ne fecero un business come accadde (molto più tardi) nelle abbazie trappiste di Olanda e Belgio. Risultato: per gli italiani la birra è sempre stata la bevanda degli stranieri. Spesso degli invasori. Longobardi, lanzichenecchi, austriaci. Almeno fino al 1907, appunto. Quando una manciata di piccoli produttori - come la Pedavena di Feltre, la varesina Poretti, la Moretti di Udine e la Società Ghiaccio e Birra Peroni fondata a Vigevano - decidono di dar vita all’Unione industriali della birra. Ma sono piccole imprese, a gestione poco più che familiare. Di grandi industrie non c’è l’ombra. E tanto meno di un vero mercato.
Qualcosa si muove quando, con la “redenzione” di Trento e Trieste, il Paese conquista la meranese Forst e la giuliana Dreher. Ma nel Ventennio, per favorire l’”italica” produzione vinicola, i birrifici subiscono una pesante accisa ad hoc e la produzione continua a non decollare. E se oggi quei marchi semisconosciuti sono diventati brand, il merito è soprattutto di due elettrodomestici simbolo dell’Italia del boom economico: il frigorifero e la tv.
Ne sa qualcosa Renzo Arbore, che ha passato 9 anni a ripetere “Birra... e sai cosa bevi” in uno degli spot più noti dell’etere. “Arrivato alla mia età, sono rimasto famoso per due cose: il cacao meravigliao e la birra - scherza -, il primo non esiste, ma di birra ne bevo da quando avevo 9 anni”. Quando deve suonare, sceglie l’analcolica. “Buona idea - risponde il presidente di Assobirra Piero Perron -. Ma a chi preferisce la tradizionale, due ordini: mai bene più di tre bicchieri nell’arco di una giornata. E nemmeno assaggiarla se poi si deve guidare”.

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