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La Repubblica / Affari&finanza

L’agroalimentare non tradisce mai ... I dati del primo trimestre 2009 sono confortanti: il settore, uno dei pilastri fondamentali della nostra economia, ha fatto segnare un piccolo ma fondamentale passo avanti: + 0,8%... È una cifra piccola, un numero che non arriva nemmeno all’intero: zero virgola otto per cento. Anzi, per essere precisi: più zero virgola otto per cento. Piccolo ma importante: uno dei rari indicatori, nel primo trimestre 2009, che l’economia italiana dà segni di vitalità, di dinamismo se non ancora di vera e propria ripresa. Viene dall’agroalimentare, uno dei settori portanti della nostra industria, uno dei quattro pilastri della ricchezza italiana che però l’opinione pubblica spesso ignora o trascura. Eppure, anche in tempi molto duri come quello che le economie di tutto il mondo attraversano, l’agroalimentare made in Italy non ha mai tradito e, se anche ha avuto qualche flessione o cedimento, ha tenuto botta molto meglio di quello di altre nazioni europee, per esempio la Germania.

A metà maggio la Coldiretti, sulla base di rilevazioni IsmeaAc Nielsen - dati a loro volta riferiti a quelli forniti dall’Istat sull’andamento del Pil nel periodo gennaiofebbraiomarzo 2009 - ha segnalato dunque una ripresa generalizzata di tutti i prodotti alimentari di base. È il + 0,8 di cui si diceva, un incremento che riguarda i consumi ma, dopo il calo del 2008, ha avuto un immediato effetto tonico su tutto il settore. Ed è particolarmente positivo il dato sul consumo di frutta, una autentica performance con un + 4,73: anche in questo caso si tratto dell’inversione di una tendenza che durava da tempo.

Sono dati che hanno bisogno di essere valutati nel contesto generale e capiti appieno, ma la Coldiretti sottolinea come in certi casi si tratti di un vero e proprio boom: i kiwi, per esempio, che segnano un clamoroso + 27 per cento. Cifre tanto più vistose se messe in relazione al fatto che i consumi di frutta e verdura erano in calo costante da un quinquennio (dunque ben prima che esplodesse la crisi attuale): 20 per cento. Dai consumi degli italiani a tavola potrebbe insomma venire il primissimo segnale che stiamo cercando una via d’uscita dalla crisi attraverso il miglioramento dei comportamenti collettivi: una ripresa "virtuosa", più attenta al benessere individuale (frutta e verdura sono unanimemente considerate la chiave di una dieta sana) e all’ecocompatibilità (un altro settore dove le cose non vanno affatto male, come vedremo, è il biologico).

Ma non sono tutte rose e fiori. Sta soffrendo, per esempio, la pesca. In questo caso la curva negativa si accentua: dal 3,1 per cento del 2007 a un meno dieci e oltre stimato per il 2008 dall’Ismea (l’ente pubblico per il sostegno al mercato agroalimentare). Frenano la produzione, il consumo (in questo caso un effetto diretto dei prezzi), l’esportazione. Il motivo chiave è che le reti dei pescherecci italiani nel Mediterraneo non si riempiono più come prima: nella seconda metà del 2007, infatti, il costo del carburante è diminuito dopo il picco dell’anno scorso, eppure questo non ha spinto i pescatori a navigare di più. Il Checkup ittico 2008 pubblicato dall’Ismea dieci giorni fa disegna insomma un quadro sconfortante per la pesca.

Altra previsione negativa riguarda, per il 2009, la produzione di frumento. È sempre l’Ismea a stimare un vistoso 35 per cento, dovuto alle scelte dei coltivatori, che hanno drasticamente ridotto le superfici messe a coltura: centomila ettari in meno in Puglia, 70 mila in Sicilia, 40 mila in Toscana e così via. Una decisione verosimilmente legata al costante, drastico calo dei prezzi di questo cereale.
Il quadro generale resta tuttavia, se non roseo, sufficientemente sereno. La produzione complessiva tiene, le esportazioni agroalimentari vanno bene, le cooperative agricole si confermano sane e dinamiche, e i produttori cominciano a sentire che, come sempre accade in tempi di crisi, c’è un ritorno d’attenzione per ciò che è essenziale, un back to basics che premia l’agricoltura. Ci sono poi marchi (tutti quelli più noti) e prodotti (a cominciare dal vino) i quali continuano a navigare gagliardi sui mari burrascosi dei mercati internazionali.

In mezzo a queste conferme positive ci sono poi fenomeni nuovi e confortanti. Parliamo del biologico. Se l’Italia è indietro rispetto ad altri Paesi europei nel campo delle energie rinnovabili e delle tecnologie ecocompatibili (anche in assenza di politiche realmente incentivanti), essa è invece leader in materia di bioagricoltura. È un dato poco strombazzato ma bello: andiamo fortissimo per numero di operatori, di produttori e superficie coltivata e siamo quinti assoluti al mondo dietro a Australia, Cina, Argentina e Stati Uniti, dunque primi in Europa. E per alcuni prodotti - cereali, frutta, ortaggi, agrumi, olive, uva - non siamo secondi a nessun altro Paese produttore. Sono dati forniti dalla FederBio, che raggruppa la quasi totalità degli operatori nazionali. Le cifre segnalano che si tratta di un settore in crescita costante, per numero di aziende e di ettari messi a coltura “biologicamente”. A queste evidenze fa riscontro un incremento parallelo nei consumi delle famiglie, per le quali il biologico è ormai una presenza costante, anche se non assoluta, ai fornelli e sulla tavola. Un altro segnale dell’intenzione collettiva di uscire dalla crisi migliorati, più “virtuosi” e attenti a quel che c’è di buono, e che di buono si può fare.

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