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Corriere Della Sera

Il porto e il vino. Due leggende divorate dal tempo ... Dei monumenti restano un piedistallo e qualche pilastro imbrattato. E il Marsala è stato assassinato dalle vendemmie verdi... E meno male che stavolta non hanno fatto la cartolina, col monumento rimasto lì incompiuto e usato come discarica di materassi, pneumatici e immondizia varia. Quello dello scultore Ettore Ximenes era finito su cartoncini affrancati e spediti in tutto il mondo: “Saluti da Marsala”. Ogni tanto si aggiravano per il porto dei turisti smarriti: “Scusate, dov’è il monumento a Garibaldi?”. “Sa, a dire il vero la scultura non è poi stata fatta...”. Sono 149 anni che va avanti, il tormentone dell’opera commemorativa per ricordare quell’11 maggio 1860 in cui la Storia si affacciò da queste parti.... ...e il Marsala? Ahi, ahi... Il vino che rese celebre la cittadina prima ancora che entrasse con Garibaldi nella storia patria, a partire da quando nel 1770 il commerciante John Woodhouse, venuto in Sicilia per acquistare ceneri di soda, ne scoprì la delizia e ne spedì un po’ di barili in Inghilterra, finendo per innamorarsi di quel nettare fino a scegliere di vivere con altri inglesi lì, a Marsala, è in crisi nera. Colpa dei cambiamenti dei gusti, del calo dei consumi, della scelta scellerata che per qualche decennio ha visto alcune grandi case puntare tutto sulla quantità per arraffare più denaro possibile, delle difficoltà dei produttori più seri impossibilitati a reggere con i loro squisiti Marsala elitari e costosi l’ostilità di un mercato stravolto dalla cattiva fama di un nome svilito. Fatto sta che in questi giorni Fabrizio Carrera, direttore di Cronachedigusto.it, giornale on-line di gastronomia, si è spinto a scrivere: “Ho letto gli ingredienti della carne Simmenthal. Ad un certo punto c’è scritto Marsala. Non è un errore. È il famoso vino doc siciliano che in questo caso viene utilizzato come conservante della carne in scatola. E, a giudicare dall’ uso che se ne fa da lustri, con ottimi risultati”. Ma allora, se “ben oltre un quarto della produzione di Marsala Fine, ovvero ben 20 mila ettolitri circa, è venduto sfuso (..) non per essere bevuto” allora basta: “non chiamatelo più Marsala”. Tesi ripresa da Attilio Scienza, presidente del corso di laurea di Viticoltura ed Enologia dell’Università di Milano: “Tutti i Marsala dolci vengono fatti con caramello per dare quella sensazione di invecchiato e bruciato. È come fare un vermouth. Oramai è un prodotto industriale in cui la base enologica non è più legata al territorio, ad alberelli di 100 anni che fanno grappoli di grillo o cataratto. È questo il vino che dovrebbe rispecchiare un territorio, una cultura? Se dobbiamo pensare a come lo fanno oggi, allora perché non lo realizzano in Svizzera o in Germania? Sarebbe uguale”. La controprova? I migliori hanno preferito concentrarsi su altri vini. Eccellenti. E riservare al “vero” Marsala, prezioso e costoso, solo una piccola nicchia. Vogliamo dirla tutta? Un grandissimo vino è stato buttato via anche dalla politica, dell’assistenzialismo, da una visione oscena dell’agricoltura e della clientela. L’ultima conferma è in una tabella pubblicata da Agrisole. Dove viene riassunto come le varie regioni italiane hanno investito i fondi per metà europei per la promozione dei prodotti. Totale dei progetti: 78. Totale dei soldi investiti: 62 milioni e mezzo di euro. Progetti siciliani: zero. Soldi spesi dalla Sicilia: zero. Da queste parti, purtroppo, viene previlegiata piuttosto la “vendemmia verde”. Cioè l’incentivo europeo (1.300 euro a ettaro) a tagliare i grappoli in giugno. Il che significa, spiega José Rallo, che segue col padre e il fratello l’azienda Donnafugata, “assassinare le vigne”. Peggio, significa umiliare il contadino con un messaggio: il tuo lavoro non ci interessa. Devastante. Come si può pretendere, poi, di salvare ciò che resta di un vino leggendario?

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