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Corriere Della Sera

Se l’etichetta (sui cibi) non piace a Bruxelles ... La Commissione europea vuole chiarimenti dall’Italia sulla legge approvata all’unanimità il 18 gennaio dalla commissione Agricoltura della Camera, che prevede l’etichettatura obbligatoria per i prodotti alimentari. Chiarimenti? Benissimo, gliene daremo. Spiegheremo che è scocciante assaggiare marmellata bulgara e vedere sull’etichetta i monti del Trentino; consumare mozzarelle tedesche spacciate per napoletane; bere succo d’arancia spagnolo (o brasiliano) mentre sulla confezione brilla il sole di Sicilia. Europei sì, fessi no. La preoccupazione della Ue è comprensibile: impedire che l’etichettatura diventi il paravento del protezionismo, una tentazione dell’animo agricolo (lo sanno anche in Coldiretti, cui va molto del merito della nuova legge). Il protezionismo è sbagliato, anacronistico e illogico. I nostri agricoltori - il cielo ce li conservi - hanno ricavato vantaggi dalla politica agricola comune (Pac). Non possono e non devono, perciò, impedire la libera circolazione dei prodotti. Quello che uno chiede è sapere cosa mangia. La legge estende l’obbligo già in vigore per alcuni generi alimentari (uova, latte fresco, carne bovina e di pollo, passata di pomodoro, olio extra vergine di oliva e miele). A Bruxelles protesteranno? Peggio per loro. Sanno bene, infatti, che l’ostilità all’indicazione d’origine provoca guai. Il 53% delle importazioni italiane di concentrato di pomodoro viene dalla Cina e finisce quasi totalmente in provincia di Salerno: uno crede di gustare San Marzano e invece condisce Xinjiang. Ieri la piccola e media industria alimentare s’è mostrata perplessa: teme che l’indicazione in etichetta dell’origine “aggravi l’industria italiana con costi e minore competitività rispetto ai competitor esteri con prodotti commercializzati in Italia. Francamente non capisco. Noi consumatori non siamo sciocchi. Informateci. E tra un prodotto di cui conosciamo la provenienza e un altro, di cui sappiamo poco o niente, scegliamo il primo. Tutto bene? Purtroppo no. L’obbligo di dichiarare il luogo d’origine, per l’olio, esiste già. Ma il sottoscritto - sarà tonto, miope o distratto - fatica a capire se un olio è italiano e da che regione provenga (a meno che sia Dop). “Ottenuto con oli extravergini di origine comunitaria” recitano beffarde le etichette. Così uno - malfidente - pensa che i produttori comprino all’ingrosso in Spagna e in Grecia e poi piazzino un bel nome sull’etichetta. Diteci che non è vero, signori Bertolli e Carapelli. Comunque: la nuova legge è un passo avanti. Si parte con conserve di pomodoro, latte a lunga conservazione e formaggio, carne suina e salumi. L’attuazione richiederà tempo: sono infatti necessari decreti attuativi per ogni prodotto, filiera per filiera. L’Italia, annuncia un’euforica Coldiretti, svolge un ruolo di apripista. Be’, era ora: in questa materia siamo i più bravi, e dovrebbero darci retta. Occhio soltanto alle etichette false. Anche in quell’industria, in queste ore, stanno festeggiando. Riservatamente, s’intende.

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