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Corriere Della Sera

“Inseguivo profumi, studio il vino” ... Già nel cognome di “madame Valerie Lavigne” c’era il suo destino. “Oggi ho una nuova sfida: far rivivere vitigni antichi e dimenticati”. Gli incontri. In azienda con l’enologa francese. Fa parte del gotha internazionale. Lavora per i grandi vigneron d’Oltralpe. Da due anni è invitata anche in Italia... L’attrazione per i profumi avrebbe potuto portarla a Grasse, nell’entroterra della riviera mediterranea francese, il regno dei maîtres parfumeur . Qui, con diverse tecniche di distillazione, si producono le migliori essenze del mondo. Qui, nella realtà romanzesca, ci finì, predestinato dal suo eccezionale olfatto, Jean-Baptiste Grenouille, il protagonista del bestseller di Patrick Süskind, Il Profumo . Invece, Valerie Lavigne, oggi enologa francese di successo, si trovò, all’inizio quasi casualmente, sulla strada del vino. “Decisi di trasferirmi a Bordeaux per studiare Agronomia e là la mia passione per gli aromi trovò un altro sbocco”, racconta. Non fiori di lavanda, ma viti. Ed è fin troppo facile notare che anche lei, in qualche modo, era una predestinata. Basta separare le prime due sillabe del suo cognome e, voilà, La vigne. La vigna, in lingua italiana. Quarantacinque anni, sposata, madre di due figli, madame Valerie ha affinato il suo olfatto (“propedeutico al gusto quando si tratta di vino”) con l’esperienza, ma partendo da studi severi. Per esercitare la professione di enologo, in Francia non è previsto il titolo intermedio di enotecnico che in Italia si acquisisce con un corso specialistico in un istituto superiore di Agraria. “Dopo il baccalaureato, si passa all’università - spiega -. Due anni di Biologia e due di Enologia. Diventati tre, da qualche tempo. Inoltre, la ricerca e gli stage nelle aziende vinicole sono basilari. Gli studenti collaborano e interagiscono con i produttori. Spesso con ottime performance . Nei miei ricordi felici di universitaria - continua Lavigne - c’è la esperienza più bella. È legata al primo vino importante fatto da me per Château Latour Martillac, classé de Graves, Pessac-Léognan. Soddisfazione ed emozione. Successivamente, ho avuto la fortuna di lavorare con il grande Denis Dubourdieu, professore, enologo, viticultore”. Sono passati circa vent’anni e il sodalizio tra l’enologa e il maestro si è rafforzato. Valerie Lavigne, docente di Enologia all’Università di Bordeaux, fa consulenze assieme a Dubourdieu e a Christophe Olivier, per i grandi vigneron di Francia. È entrata cioè, a pieno titolo, nel gotha dell’enologia. Basta scorrere alcuni nomi delle Maison che l’hanno ingaggiata per rendersi conto: Château d’Yquem, Château Margaux Blanc, Château Pichon Longueville Comtesse de Laland, Château Cheval Blanc. Quest’ultimo richiama un dettaglio curioso: il prestigioso marchio vinicolo, uscendo dal giro degli addetti ai lavori e degli appassionati, alcuni anni or sono ebbe un momento di grande popolarità attraverso le scene e i dialoghi di Sideways (2004), premiato con l’Oscar. Il film americano narra la scorribanda di Miles, enofilo, insegnante d’inglese, e di Jack, vecchio compagno di college in procinto di sposarsi, nella Santa Ynez Valley, zona vinicola della California. Fatto sta che la mitica bottiglia di Cheval Blanc 1961 viene più volte evocata da Miles, che la conserva gelosamente nella sua casa. Alla fine, in un momento di sconforto, va a prendere il suo vino più pregiato (in verità, fatto con uve che il protagonista disprezza, il Merlot e il Cabernet Franc, mentre adora il Pinot Noir) e lo beve in un bicchiere di plastica, al tavolino di un fast food. Per la cronaca, il successo della pellicola fece lievitare le vendite del vino. Ma torniamo a Valerie Lavigne e ai suoi saperi. La incontriamo in una tenuta vinicola delle colline di Toscana. Le consulenze dell’enologa, infatti, da un po’di tempo hanno varcato i confini di Francia. La sua professionalità ha convinto anche i nostri produttori di fama. Da un paio d’anni circa, Lavigne ha accettato di collaborare con Donatella Cinelli Colombini, eclettica signora del vino. Che l’ha scelta non soltanto per l’indubbia bravura ma anche con l’idea di affiancarla all’enologa dell’azienda, Barbara Magnani, in un contesto di squadra in cui il “genere” femminile prevale. Di più: la Cinelli Colombini lo considera un formidabile punto di forza. Quasi a esaltare anche in vigna e in cantina quella piccola “differenza”, teorizzata dal femminismo liberazionista. L’argomento diventa discussione, contrastata, durante la cena all’Osteria di Donatella, all’interno della Fattoria Il Colle di Trequanda (Siena), vasta oasi verde della Val d’Orcia, che fonde armonicamente boschi e vigneti. Sul tavolo ci sono alcune bottiglie, passate dal tocco di madame Lavigne, co-autrice del Cenerentola Orcia Rosso Doc 2007, del Brunello di Montalcino 2006 Prime Donne, del Brunello di Montalcino Riserva 2005. Valerie sprigiona femminilità nei lineamenti, nel tratto; eppure, dice, senza giri di parole, che, per quel che la riguarda, ha trovato sorprendente, inusuale, e null’altro, lavorare con sole donne. “Se devo essere sincera - osserva - preferisco la complementarietà dei sessi. Anche in questa professione. Il valore aggiunto della sensibilità? Maschile, femminile, non fa differenza. Aiuta a dare il meglio di sé, in ogni caso. In altre parole, penso che non esista il vino maschio e il vino femmina”. Interviene Barbara Magnani: “Il Brunello Prime Donne, fatto da donne, curiosamente piace molto agli uomini”. “Bien sur”! Rimanda Valerie Lavigne. Che scombina un po’i giochi in rosa. Ammette, tuttavia, che, lavorando per le aziende di Donatella Cinelli Colombini, ha capito che “almeno qui la squadra femminile ha un senso”. “Non conosco simili realtà in Francia - dice -. Dove, al contrario, il settore è sovente monopolizzato dagli uomini. Le numerose ragazze che frequentano i corsi di Enologia, circa la metà degli studenti, lavoreranno per lo più nel commercio, nelle pubbliche relazioni, nelle enoteche, nei ristoranti come sommelier . Del resto, stare in vigna e in cantina è piuttosto duro. Non ci sono solo le degustazioni, occorre essere dotati anche di forza fisica”. Si entra, quindi, nel vivo dell’enologia, e dei suoi segreti. Per scoprire che madame Lavigne, indubbiamente di scuola francese, boccia in qualche misura le barriques (piccole botti di legno) che, negli ultimi dieci anni, hanno imperversato nelle cantine italiane. “Più il vino è concentrato e ricco di composti fenolici meglio sopporta i piccoli contenitori in legno - spiega -. Ma anche se il vino resiste ad eccessi di legno non è detto che sia giusto imporglielo”. Da questo assunto iniziale, Valerie sviluppa la sua filosofia per i grandi rossi di Montalcino, nati da uve Sangiovese. “Poiché il legno deve restare supporto del vino e non sovrastarlo disturbando la sua autenticità - conclude - questo obiettivo si raggiunge meglio utilizzando le botti”. Lavigne crede fermamente nei principi di identità e di tipicità, specie in un’epoca di globalizzazione che spinge nel mondo i cosiddetti vitigni internazionali che danno prodotti omologati. “Il privilegio delle varietà autoctone di uva - asserisce - è quello di generare profumi che non possono essere replicati”. Molto credibile detto da lei, che ha naso. “Il profumo di un vino - insiste - ti rivela subito che cosa scoprirai bevendolo. Il gusto, poi, ne dà conferma. Soltanto raramente, non c’è corrispondenza tra i due sensi”. Il favoloso mondo del vino (dentro il quale c’è anche il marito/enologo) è l’habitat naturale di Valerie. Restia a parlare di sé e del suo privato. Si definisce, comunque, una madre affettuosa e organizzata, una buona cuoca, e una sportiva quanto basta. Nuota volentieri e divora i romanzi di Ken Follet. “C’est, tout”. Il suo viaggio enologico continuerà con la ricerca di vitigni antichi e dimenticati. Ne cita due italiani e un francese: il Foglia tonda (recuperato da Donatella Cinelli Colombini), il Piedirosso, autoctono della Campania. “E il nostro Petit Verdot. Viene dal Médoc, area a nord della regione di Bordeaux; oggi rappresenta la nouvelle vague della viticultura di Francia”.

Biografia ... Valerie Lavigne è nata nel 1966. Sposata, due figli di 11 e 15 anni, è docente presso la facoltà di Enologia all’Università di Bordeaux. Insignita nel 1997 del Grand Prix dell’Accademia Amorim dedicato ai giovani ricercatori che hanno contribuito a migliorare la qualità del vino, è coautrice di pubblicazioni specializzate e ha partecipato a numerosi meeting internazionali sull’enologia. Svolge lavoro di ricerca e di consulenza per importanti Maison francesi. In Italia, lavora in Toscana, per le aziende di Donatella Cinelli Colombini: Casato Prime Donne a Montalcino e Il Colle a Trequanda.

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