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Il Sole 24 Ore

Illy ora gioca la carta del vino ... Il presidente Riccardo: “Percorso redditizio per la quarta e quinta generazione” ... Niente Borsa, ma spinta alla diversificazione dei comparti di investimento - in Italia o al massimo in Francia - per il Gruppo Illy. E dopo il tea, la cioccolata e le confetture, oggi l’attenzione è concentrata sul vino per traguardare la quarta e quinta generazione puntando su un mercato dalle grandi potenzialità. La holding della famiglia di torrefattori più conosciuta e celebrata al mondo - controllata al 100% dai quattro fratelli Francesco, Riccardo, Anna e Andrea con la madre Anna Rossi - ha rinunciato alla focalizzazione monoprodotto dal 2004. “Nel 1977, quando sono entrato in azienda, Illy vendeva caffè e tea e si rischiava di defocalizzare il marchio - riferisce Riccardo Illy, presidente del Gruppo -. Abbiamo scelto di concentrarci sul caffè e siamo cresciuti in maniera strutturale: dalle mille tonnellate di prodotto vendute nel ‘77 alle 15mila distribuite nel 2004 in più di 140 Paesi, con una riduzione drastica dell’indebitamento sceso al livello del patrimonio netto”. “Ci siamo posti il problema di avviare nuovi percorsi da trasmettere alla quarta e quinta generazione della famiglia - rilancia il presidente della holding -. Potevamo allargare sul caffè, entrando in fasce di mercato più basse con blend meno costosi, ma abbiamo scelto di mantenere una strategia di eccellenza creando un polo del gusto con prodotti che amiamo e che sono stati nella nostra storia”.
Ecco allora l’ampliamento del portafoglio con acquisizioni mirate al top di gamma: il cioccolato piemontese Domori (100%), il tea parigino Damman Frères (77%), le confetture della cuneese Agrimontana (40%) e infine al primo passo nel mondo del vino, proposto da Francesco Illy, che ha condotto l’acquisto dell’azienda agricola senese Mastrojanni. A questi si aggiungono la partecipazione al 30% nella svizzera IllyCafè (ceduta da Ernesto Illy per avere il controllo a Trieste) e al 5% nella catena di gelaterie Grom. Tutte operazioni realizzate a debito, utilizzando la redditività e i dividendi del caffè per sostenere una esposizione che rimane comunque sotto controllo (in questo momento sono 45 milioni verso le banche). “Non abbiamo preclusioni di principio su possibili aperture del capitale, tanto che la finanziaria regionale Friuliaè entrata due volte in IllyCaffè con quote di partecipazione che miravano a sostenere lo sviluppo dell’azienda e non al capital gain - conferma Riccardo -. Si è valutato però un indebitamento diretto perché era ed è tutt’ora pienamente sostenibile, a fronte di tassi di interesse bassi in partenza e rimasti tali”. La fiammata dello spread nel 2011 “ha creato qualche piccola tensione, ma non tale da preoccuparci”.
La Borsa, invece, sembra aliena dalla filosofia della famiglia e dunque del Gruppo: “Mio padre ha sempre sostenuto che il nostro vero padrone è il consumatore - chiarisce il presidente
- e noi rimaniamo convinti che il reddito d’impresa vada a coprire i costi del futuro. Difficile condividere con azionisti esterni, che hanno un’ottica di breve periodo, scelte come la chiusura di un bilancio in perdita o con bassi dividendi per non rinunciare alla qualità del prodotto”.
Una filosofia che il Gruppo - 333,8 milioni di fatturato consolidato 2010 (con Mol a 43,8 milioni e utile netto di 3) e 365 milioni di previsione 2011- ha mutuato dalla famiglia. “Stiamo sviluppando investimenti importanti su tutti i fronti e i report sulle società controllate o partecipate che ogni anno vengono presentati da un’agenzia di valutazione confermano che la scelta è stata corretta, perché il valore è cresciuto”, riferisce Illy. Dunque al di là degli utili e dei dati di bilancio, c’è una quota “virtuale” di pay-back che rimarrà a patrimonio. “Vorremmo che in io anni il tea e il cioccolato arrivassero alle dimensioni del caffè e generassero un cash flow adeguato a sostenere nuovi investimenti”, conclude Illy. E l’attenzione è concentrata sul vino: settore ad alto potenziale e dai ritorni sul lungo periodo. Il Gruppo “rimarrà concentrato sull’Italia, che ha vantaggi competitivi meccanici ed estetico-culturali, e forse sull’unico altro Paese che condivida questi vantaggi, ovvero la Francia”.

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