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Il Corriere Della Sera

Il lato antico del Prosecco ... Il boom spinge le quotazioni, nella zona Dogc si parla di un contratto a 2 milioni l’ettaro ... Ruggeri e il recupero delle vecchie viti a Valdobbiadene ... “Due milioni di euro all’ettaro”. Tanto è stato pagato, si favoleggia nel regno del Prosecco, un lembo di terra sulla collina di Cartizze. Per Paolo Bisol, patron della cantina Ruggeri, è una quotazione folle, “non bastano dieci generazioni ad ammortizzare queste cifre”. Irreale o no, è uno dei segni del successo mondiale che ha portato il Prosecco Docg a vendere 68 milioni di bottiglie l’anno e il Pro- secco Doc a 200 milioni di bottiglie. Paolo quei filari milionari li percorre tutto l’anno. Dalle rive, così si chiamano qui i pendii, seleziona e raccoglie le uve di 110 vignaioli, incamerandole con una stretta di mano. A Santo Stefano, Saccol, Guia, lungo i cru del Prosecco che esplodono di verde, cammina sicuro. Nella sua cantina, a Valdobbiadene, prima di mostrare il percorso di bucce, lieviti, azoto e autoclavi che dà vita al Prosecco, parla del libro del suo amico Sandro Sangiorgi. Si intitola “L’invenzione della gioia”, 500 pagine sul bere come nutrimento dello spirito, a colpi di citazioni di Roland Barthes, André Breton, Pier Paolo Pasolini. E di Jorge Luis Borges: “Vino, insegnami la mia storia quasi fosse già fatta cenere di memoria”. E un medico, Paolo Bisol. Durante il tirocinio all’ospedale, ha deciso di prendere il posto del padre Giustino in cantina (un signore di 93 anni che ancora annota in grandi fogli, con diversi colori, nomi di clienti e cifre aziendali). Il ritorno in cantina, lo stesso destino dei figli: Giustino, rientrato dop la laurea in filosofia, e Isabella, che ha riposto i sogni d’artista e si occupa di export del vino di famiglia (“Da quando c’è lei vendiamo anche in Uruguay, non sapevo neppure dove fosse di preciso l’Uruguay”). La cantina, nata meno di 20 anni fa al posto di quella degli anni Cinquanta, è silenziosa come un laboratorio, sterilizzata con il vapore perché “così si diminuisce l’uso di solforosa, eliminata per due terzi, e il vino è più naturale”. La tecnica per mettere in bottiglia dry e brut è quella nata ad Asti con Federico Martinotti (la rifermentazione nell’autoclave) e perfezionata da Antonio Carpenè nella scuola enologica di Conegliano. La filosofia produttiva è semplice: “Uva che conosco e vino fatto qui curando i dettagli”. In queste colline c’è stata una rivoluzione, tre anni fa: il Prosecco si è sdoppiato. Quello superiore (Docg), che esce dalle cantine di VaIdobbiadene e dintorni (15 Comuni), e quello di pianura (Doc), da 600 Comuni di tutto il Nordest. Non facile spiegare la differenza di qualità (e prezzo) agli appassionati di questo vino fruttato e leggero prodotto con l’autoctono Glera (e l’aggiunta di altre varietà locali come Bianchetta, Perera e Verdiso). Nel momento magico del Prosecco c’è spazio per tutti, grandi produttori e piccoli vignaioli. Ma chi coltiva e imI bottiglia nella zona storica di Valdobbiadene cerca di distinguersi con vini più complessi che raccontano la storia di queste colline. La carta di Ruggeri si chiama Vecchie viti, un Prosecco grintoso e solido, solo 5.000 bottiglie l’anno, solo da piante con almeno 80 anni. Il Glera fino al Settecento venne coltivato in modo “disordinato”: “I vecchi vigneti non venivano reimpiantati, si sostituivano solo le piante che morivano”, racconta il professor Attilio Scienza, il nostro Indiana Jones delle viti. “Queste viti sono le tracce di quel metodo, come patriarchi della nostra agricoltura indicano com’era l’Italia del vino prima degli anni Sessanta. Possono durare due secoli perché più resistenti ai virus. Danno il vino migliore, come dicono i proverbi”. Bisol s’è innamorato di questi vigneti-collezione. “Ho trovato piccoli gruppi di vecchie viti sparse per Valdobbiadene - racconta -, monumenti vegetali contorti che quasi intimoriscono. Crescono grappoli dagli acini piccoli, come corone di rosario, qui si chiamano coronele. I contadini ci portano le casse d’uva e noi vinifichiamo in modo tradizionale. Un omaggio agli uomini e alle donne che nei secoli hanno plasmato i fianchi delle nostre colline”. Proprio il Vecchie viti è stato messo sul podio da Alan Tardi del New York Times, che lo ha inserito tra i 5 Prosecco da consigliare, definendolo “elegante e unico”. In questi giorni è pronto il Vecchie viti 2011, avvolgente ed equilibrato, con i profumi floreali che prevalgono su quelli fruttati perché l’estate scorsa è stata così calda da portare alla vendemmia anticipata, per la quarta volta in 8 anni. E uno di quei vini, come direbbe l’amico di Bisol citando Borges, che “come il fiume del tempo e nell’arduo cammino/ ci fa dono di musica, di fuoco e di leoni/ nella notte del giubilo o nell’infausto giorno”.

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