Gli imprenditori vinicoli Maurizio e Giuseppe Miccichè, proprietari della cantina Calatrasi a San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo, sono stati indagati, insieme ad una zia e ad un dipendente, di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e riciclaggio, mentre un imprenditore lucano è indagato per concorso in truffa aggravata: secondo l’accusa, gli imprenditori palermitani Miccichè hanno ottenuto indebitamente un contributo pubblico, per oltre 1,5 milioni di euro, da fondi comunitari in Puglia riciclandone poi, a fini personali, circa la metà. E i finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, coordinati dalla procura di Palermo, stanno già perquisendo le sedi della cantina Calatrasi, e sequestrando conti correnti, immobili e autoveicoli degli imprenditori, per un controvalore di 1,9 milioni di euro.
La vicenda inizia nel 2007, quando la storica azienda vinicola, alcuni anni dopo l’acquisizione di uno stabilimento vitivinicolo nella provincia di Brindisi, richiedeva, ricevendolo in più tranche fino al 2010, un contributo alla Regione Puglia, finalizzato alla ristrutturazione di detta cantina. I finanzieri, partendo da due operazioni bancarie apparentemente scollegate da quel contesto e seguendo i soldi, dicono di aver ricostruito “un articolato sistema di frode, attuato dal rappresentante dell’azienda con l’ausilio di un imprenditore lucano trapiantato a Milano, per mezzo del quale è stata rappresentata alla Regione Puglia una realtà completamente artefatta, sia sotto il profilo dell’impegno finanziario apportato dagli imprenditori nell’investimento, sia sotto il profilo delle spese effettivamente sostenute”.
Dall’analisi finanziaria effettuata dai militari sarebbe stato appurato che, per mezzo di fatture false, transazioni bancarie anomale e documentazione fasulla, gli imprenditori palermitani del vino hanno ottenuto finanziamenti indebiti utilizzati, almeno in parte, per ripianare debiti pregressi, piuttosto che per ammodernare gli strumenti di produzione. Infine, una parte del “bottino” è rientrato in azienda o è stato spartito in famiglia, tanto che anche la società è indagata per le stesse ipotesi di reato.
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