“Il paesaggio d’Europa non sarebbe tale senza la vigna, che lo ha disegnato e si è sviluppata secondo tradizioni e movimentazioni in parte ancora da chiarire, ma che conformano la struttura europea del vino. Dove paesaggio, edificazioni nel paesaggio, disegno delle colline, formano un’estetica perfetta che, quando il vino è ben fatto, finisce nel bicchiere”. È questo il ruolo che si è ritagliato il vino, prodotto alimentare ma anche culturale, nel rapporto tra l’uomo e la natura, secondo Philippe Daverio, che a WineNews lo definisce “un ruolo formidabile”. E che tale non sarebbe senza la mano dell’uomo: non sempre un paesaggio è bello così com’è, e, a volte, l’intervento dell’uomo, oltre a conservarlo, può renderlo ancora più affascinante, come con un vigneto. “L’Italia è bella perché, come già negli affreschi del “Buon Governo” a Siena, abbiamo per secoli dominato la natura. La sua bellezza è il prodotto dell’uomo: è il Paese più antropizzato che esista sul globo terrestre. Ma, purtroppo, nell’ultimo mezzo secolo gli abbiamo dato una botta feroce, ed è ora di prenderne coscienza”, spiega il celebre critico d’arte che ha lanciato “Save Italy”, il movimento d’opinione della civiltà e degli educati, per sensibilizzare alla salvaguardia dell’immensa eredità culturale italiana e “tornare ad un’Italia che sia bella”.
Una presa di coscienza che, prima di tutto, deve essere quella del territorio italiano come patrimonio del Paese, e che, dunque, come tale debba essere trattato. “Siccome si studia più latino a Philadelfia o a Clermont Ferrand di quanto non lo si faccia in Italia - sottolinea Philippe Daverio a WineNews - penso che Pompei sia dell’Umanità, non dei napoletani. L’Italia è un contenitore di un’eredità storica formidabile, che ha generato la cultura dell’Occidente. E non è solo degli italiani: ogni tanto bisognerebbe avere il coraggio di andare a bussare alla porta delle comunità internazionali e dire ormai siamo ridotti così, dateci voi una mano a rimetterci apposto”.
Un patrimonio territoriale in cui l’agricoltura e l’ambiente più in generale, si fondono con il lavoro dell’uomo, in un mix che rende unica l’Italia. “Il mio amico Daniel Spoerri, il grande scultore svizzero di origine rumena, mi portò un giorno sulle colline del Monte Amiata dove ha installato tutte le sue sculture (il suo “Giardino”, celebre Parco Artistico a Seggiano in Toscana, ndr), e mi disse: guarda qua intorno, vino nella natura, è tutto lavoro dell’uomo! I territori in Italia non sono solo agricoli - dice Daverio - ed è questo che li distingue, sono un misto di storia, di sedimento, di sudore umano, di pratiche e di complessità, e di quella parola che va tanto di moda, ma che bisognerebbe chiarire, che è la biodiversità”.
“Va di moda” soprattutto in vista dell’Expo italiana, ormai prossima al suo inizio, in quanto, forse, proprio la biodiversità è l’immagine più legata all’Italia e al tema scelto dal nostro Paese “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. La complessità e la diversità sono, per Daverio, tra i concetti che l’Italia avrebbe potuto spiegare in più di ciò che speriamo farà, ovvero “l’articolazione delle produzioni che non sono necessariamente immense, ma in mano a nuclei familiari, e l’idea che si può convivere in modo anarchico tra famiglia, spazio, paesaggio e prodotto”. Il tema, “scelto dal comitato internazionale, si chiamava “Feeding the Planet”, dar da mangiare al Pianeta, in un momento complesso e caotico come quello che viviamo, dove la questione ecologica si contrappone a quella demografica. Purtroppo molto spesso in Italia è diventato “Feeding my dear friends”, do da mangiare ai miei amici più vicini - conclude il critico - non è stata la scelta più accorta, ma emetteremo un giudizio dopo averla vista”.
Tutti temi che sono stati al centro anche della lectio magistralis su “Il Paesaggio nell’Arte tra incanto e dolore” che Philippe Daverio ha tenuto, ieri sera, a Villa della Torre, gioiello architettonico del Rinascimento italiano, di proprietà di Allegrini a Fumane di Valpolicella, concludendo il ciclo di incontri “Paesaggi e Contrasti”, promosso, spiega Marilisa Allegrini, “in avvicinamento a Expo, perché il paesaggio è tra quei beni che sentiamo come un patrimonio del Paese, e di noi aziende. E su questo dobbiamo sensibilizzare le nuove generazioni, ed è questa la “legacy” che ci deve guidare nelle nostre scelte, quando restauriamo un edificio o piantiamo un vigneto: dobbiamo tutelare il paesaggio”.
Focus - “Il Paesaggio nell’Arte tra incanto e dolore”: la lectio magistralis di Philippe Daverio a Palazzo della Torre in Valpolicella da Allegrini
Di cibo, cultura, vino e arte, si è parlato nel ciclo di incontri “Paesaggi e Contrasti”, promosso da Allegrini, nella sua prestigiosa Villa Della Torre, come tappe di avvicinamento ad Expo, chiuso “in bellezza” con la lectio magistralis di Philippe Daverio, fra i più noti critici d’arte italiani ed internazionali, “Il Paesaggio nell’Arte tra incanto e dolore”. Ad iniziare i lavori, il professor e architetto Cesare Feiffer dell’Università Roma Tre che ha posto l’attenzione sulle diverse concezioni di un unico concetto: il paesaggio, come elemento distinto dalla conservazione dello stesso.
“Per molto tempo si è concepito il paesaggio in maniera limitata - ha detto il famoso architetto - attribuendogli il ruolo di mera cornice di monumenti, ville o elementi artistici in genere, carichi di oggettivo valore; in maniera similare all’archeologia che tralascia l’importanza delle sedimentazioni del terreno a discapito dell’oggetto ritrovato di riconosciuta importanza. Ancora oggi nelle università si insegnano i nuovi paesaggi e non la loro conservazione mentre il paesaggio nella sua accezione più vera deve essere riconosciuto come un contenitore di segni, un libro aperto si segnali non artistici nel quale la strada, l’agricoltura, le marogne devono essere guardati da occhi sensibili ed in grado di decifrarne il valore”.
L’intervento di Philippe Daverio si aperto dando risalto al territorio italiano nella sua molteplicità. “Il paesaggio - ha detto il celebre critico - non contempla soltanto componenti agricole, ma è composto da un misto di pratiche, complessità, sudore umano e biodiversità. Quello italiano è l’esempio di un paesaggio assolutamente antropizzato, dove è proprio l’opera dell’uomo ad aver reso formidabile e prezioso il territorio, che ancora torna all’uomo come elemento chiave attraverso il quale costruire l’identità di un popolo. La Francia, non appena passata alla Monarchia Costituzionale lo definiva patrimonio, con una leggera differenza dal concetto britannico legato ad un’idea di eredità che qualora non venga trasmessa andrebbe a costituire una irresponsabilità antropologica, confermata dal fatto che il passato ha un senso se serve a costruire il futuro. Dimostrando rispetto per il passato - ha aggiunto Daverio - abbiamo quindi il pieno diritto, ed il sicuro dovere, di intervenire sul nostro paesaggio affinché possa vivere e rivivere, dobbiamo avere il coraggio di disegnarlo nuovamente, seguendo anche quel carattere variabile della natura stessa, che fisiologicamente muta e si modifica. La strada è quella delle distruzioni e delle grandi ricostruzioni.
Ed è in questo che, ha sottolineato Daverio, “si racchiude anche un valore comunicativo di grande sensibilità che ci permette di valorizzare il paesaggio come strumento identificativo di un vantaggio competitivo da promuovere, un percorso mentale con il quale i popoli si appropriano della propria storia. La conoscenza di questo patrimonio ci fa esaminare non il singolo luogo, non il singolo edificio ma la giusta integrazione fra edificio e luogo. Dobbiamo quindi intraprendere un percorso che ci porti alla coscienza di una progressione che ci auspichiamo, dove il prodotto della terra, del lavoro, dell’eredità di pratiche e conoscenze, il vino, può essere inteso come elemento di coesione e unione dei popoli”.
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