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28 milioni di persone in Italia bevono vino, il 51,7% della popolazione. La qualità, come criterio di scelta, vale più del prezzo. All’export si cresce, ma con margini grandissimi ancora da cogliere. Così l’Osservatorio del Vino 2017 Federvini-Censis

Cambiano le epoche, mutano le abitudini e gli stili di consumo, calano le quantità, ma il vino, alfiere del Belpaese nel mondo e da qualche tempo, per legge, “patrimonio nazionale”, rimane un must per gli italiani: lo beve il 51,7% della popolazione (calcolata sui maggiori di 11 anni), 28 milioni di persone, seppur in maniera sempre più moderata (solo il 2,3% ne consuma più di mezzo litro al giorno), con una modalità di consumo che è sempre più “culturale”, come raccontano i dati dell’Osservatorio del Vino 2017 di Federvini e Censis, di scena nell’assemblea Federvini a Roma, che ha confermato Sandro Boscaini alla presindenza anche per il triennio 2017-2019.

Lo dice, per esempio la percentuale di diplomati (salita dal 30,6% del 2006 al 33,8% nel 2016) e di laureati (dal 35,5% al 39,5%) che beve vino, ma anche e ancor di più il fatto che, in un periodo storico dove prevale, il generale, la politica del risparmio e del “low cost”, secondo l’Osservatorio per il 93,2% il criterio preponderante di scelta è la qualità, mentre il prezzo è al primo posto solo per il 6,8%. E se è ambasciatore dell’Italia nel mondo, l’italianità del vino è uno dei fattori più importanti che ne costituiscono la reputazione (92,1%), seguito dal fatto che sia Dop o Igp (85%), e quindi legato ad una Denominazione e ad un territorio, e poi dal singolo marchio aziendale (70,5%). Ma lo dice anche il fatto che il vino sia sempre più un “motore culturale”, con 24 milioni di italiani (soprattutto tra i Millennials) che nel 2016 hanno partecipato ad almeno una attività legata la vino, ed in particolare 16,1 milioni ad eventi, sagre e feste locali nei territori, 14,2 visitando ristoranti e trattorie con carte dei vini importanti, e 13,7 con vacanze e viaggi in località celebri per l’enogastronomia.

Tutto questo, ovviamente, si traduce in valore economico. In Italia, dopo il crollo della spesa per il vino tra il 2005 ed il 2013 da parte delle famiglie italiane (-21%, contro il -11% della spesa per gli alimentari e del -3,3% nel complesso), si è registrata un’inversione di tendenza tra il 2013 ed il 2015, con un parziale recupero (+9%, molto meglio del +0,5% degli alimentari e del +2% complessivo). E nel mondo, se il record delle esportazioni nel 2016 a 5,6 miliardi di euro è ormai noto (benché, va sottolineato ancora una volta, con una crescita dovuta ai soli spumanti, Prosecco su tutti), l’Osservatorio sottolinea anche come questa crescita sia strutturale negli ultimi anni, con un significativo +27,6% in valore tra il 2011 ed il 2016. Quinquennio in cui particolarmente bene hanno fatto i vini Dop (+20,5% in quantità e +44,8% a valore), meno bene quelli Igp (-3,7% in volume, ma comunque positivi in valore, a +24,1%), con le vere star che, come detto, sono state le bollicine, con un impetuoso +85,1% in quantità e il +117,9% in valore. Dati che, però, non consentono al Belpaese di sedersi sugli allori. Perché se la reputazione del vino italiano è altissima ormai in tutto il mondo, e la qualità diffusa più che competitiva con le produzioni più importanti del pianeta, è un fatto che il valore medio sia ancora troppo basso rispetto ad alcuni competitor, con un gap che va colmato quanto prima. In particolare, spiega l’Osservatorio, il valore della produzione di vino in Italia è pari a 191,4 euro per ettolitro, inferiore al dato della Francia (316,6 euro/ettolitro) e persino della Germania (207,7 euro/ettolitro).

Ma è proprio sui valori che si deve lavorare: se l’Italia raggiungesse i livelli dei francesi, per esempio, oggi il suo export varrebbe già 12 miliardi di euro, sottolinea l’Osservatorio, ovvero 6,4 miliardi in più di oggi, ma anche guardando a Paesi meno blasonati, se fossimo ai livelli della Nuova Zelanda saremmo già a 9 miliardi in totale, e con i valori degli Usa (nostro primo mercato per le esportazioni), saremmo già a quota 6,7 miliardi di euro.

“Il quadro tratteggiato dall’Osservatorio Censis-Federvini è sicuramente favorevole ma si deve fare di più e meglio”, ha dichiarato Sandro Boscaini, presidente Federvini. “I dati del resto sono inequivocabili: sarebbe oltremodo sbagliato adeguarsi alla logica del low cost. Dobbiamo stare ben lontani dal ricorrere alla leva del prezzo per puntare ai valori immateriali del vino come la cultura e la valorizzazione del territorio. Altri snodi imprescindibili sono il valore della produzione e l’export che possono essere implementati attraverso un modello imprenditoriale e di comunicazione maggiormente adeguati ad un mondo globalizzato ed interconnesso”.

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