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SOAVE 50

La forza del Soave, da 50 anni territorio virtuoso, all’avanguardia e remunerativo

Le tappe e le svolte della Doc bianchista veneta, che oggi esporta 50 milioni di bottiglie in tutto il mondo ed abbraccia la zonazione
ALDO LORENZONI, CNSORZIO, DOC 50 ANNI, SANDRO GINI, SOAVE, Italia
Soave, 50 anni di Doc e vendemmia tra i filari

La forza del Soave? La capacità di attraversare periodi con fortuna alterna grazie alla costanza dell’indotto economico, e quindi dei redditi, che garantisce da decenni, a un territorio a densità viticola elevatissima, al di là delle variazione dei valori di uve, vino e vigneti. Così ha attraversato 50 anni di mutamenti continui, in un viaggio che si chiude, almeno per ora, e solo simbolicamente, le 33 unità geografiche aggiuntive della denominazione, in attesa di essere inserite nel disciplinare di produzione, ultima tappa di un percorso di caratterizzazione del territorio iniziato oltre 50 anni fa, ben prima del riconoscimento della Doc nel 1968, tra le prime in Italia. Mezzo secolo festeggiato a Soave Versus, nella cornice del Palazzo della Gran Guardia, dove WineNews ha fatto il punto con il neo presidente del Consorzio, Sandro Gini, tra i produttori più importanti del territorio.
“Data la mia età - racconta Sandro Gini - ho attraversato tutte le ere del Soave. Il passaggio dalla viticoltura familiare a quella specializzata, dalla diffusione dell’imbottigliamento al picco di notorietà degli anni 70, quando negli Stati Uniti vino bianco voleva dire Soave. Ho prodotto il mio primo vino nel 1980, all’inizio della crisi causata dall’incapacità di gestire le produzioni e dal conseguente calo della qualità. Nel 1985 quando ho presentato La Froscà a Milano, peraltro primo vino in assoluto senza solforosa, è piaciuto molto, ma per i ristoratori che sulla bottiglia ci fosse scritto Soave era un problema, tanto si era squalificata la denominazione. Io non ho mollato e altri come me. Questo ha fatto sì che emergesse il Soave “vero” e di qualità, che ripartissero le esportazioni con una piena ripresa negli anni 90. Venendo ad oggi, la sfida è di portare a elevati livelli qualitativi tutto il Soave prodotto, perché abbiamo tutto ciò che serve per poterlo fare”.
La Doc Soave ha una dinamica molto particolare perché è uno dei territori più storicizzati per quanto riguarda la viticoltura. “All’indomani della legge 930, nel 1968, la denominazione di origine Soave nasceva già forte e consolidata tant’è che la superficie vitata è stata sempre molto vicina alla massima potenzialità - spiega Aldo Lorenzoni, da 20 anni direttore del Consorzio - il Soave è stato uno dei primi fenomeni enologici italiani: ha aperto le vie dell’esportazione verso gli Stati Uniti indicando la strada ad altri vini dal punto di vista stilistico, per la pulizia e quindi trasportabilità, e commerciale con l’esempio dei grandi imbottigliatori veneti, aziende toniche e vocate all’export, come Bertani, Bolla e Pasqua. Un importantissimo contributo al sistema è stato dato da una cooperazione virtuosa che non ha mai tradito le aspettative dei soci distribuendo reddito e serenità e ha consentito a tantissime piccole aziende di mantenere nel tempo saperi e professionalità”.
Il “sistema Soave” conta su 7.000 ettari di vigneto, di cui 6.000 a Garganega, per circa 50 milioni di bottiglie esportate per l’80%. Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone i mercati più importanti che coprono circa il 50%, l’altro 30% è distribuito nel resto del mondo. La cooperazione produce il 70% del prodotto, il 20% è ad appannaggio delle aziende a conduzione diretta e il 10% degli imbottigliatori, percentuale che è diminuita insieme alla riduzione dello sfuso a fronte della nascita di numerose aziende private che oggi imbottigliano, inequivocabile segno di vitalità.
“Grazie a questa struttura - sottolinea il direttore del Consorzio - il Soave continua ad affrontare i mercati pur in contesti competitivi nuovi e nonostante la rivoluzione vitivinicola avvenuta e in corso in Veneto (ndr: Prosecco doc e Pinot grigio delle Venezie). La denominazione è sempre stata coerente con sé stessa. Anche quando tutti piantavano uve a bacca rossa abbiamo mantenuto fedelmente la Garganega e il Trebbiano di Soave, forti degli studi di Cosmo e Dalmasso negli anni 20, quando l’area viticola del Soave prima in Italia è stata ricostituita dopo la fillossera, dei lavori di caratterizzazione viticola degli anni 70, fino alla zonazione della denominazione nel 2000, prima nel Veneto. Un percorso che ha come ultimo risultato l’individuazione delle 33 unità geografiche aggiuntive”.
Negli ultimi anni prezzo delle uve è stato costante, attorno da 0,6 a 1 euro/kg - la plv è intorno agli 11-12.000 euro/ha - per un valore totale delle uve di 70-100 milioni di euro e del vino di 200-300. Tuttavia la vendemmia 2018 che si prospetta molto abbondante preoccupa, anche alla luce del calo delle quotazioni delle uve già vendemmiate. Per governare la produzione negli ultimi 10 anni in quattro annate è stato fatto ricorso alla riduzione delle rese. Dopo aver toccato il picco di 350.000 euro nel 2006 (nel 1968 un ettaro di vigneto, attualizzando la cifra, valeva circa 200.000 euro), negli ultimi anni i valori fondiari sono diminuiti attestandosi intorno ai 150-200.000 euro attuali. “Molti produttori recentemente hanno fatto investimenti fuori zona - spiega Lorenzoni - e questo ha alleggerito la domanda in una denominazione ingessata, dove praticamente non ci sono più possibilità di espansione. Un effetto benefico perché ha permesso a coloro che volevano investire nel Soave di comprare a prezzi possibili e anche di risolvere situazioni di frammentazione fondiaria estrema. C’è fermento. Ci sono aziende del tutto nuove, anche piccolissimo, e aziende storiche in cui le nuove generazioni hanno fatto il salto verso la bottiglia e si avvicinano a mercati impensabili da raggiungere per le generazioni precedenti. E ci sono anche molte donne, ben rappresentate anche nel Consiglio di amministrazione del Consorzio dove sono 5, un terzo del totale”.
Nel prossimo futuro del Soave, oltre alle modifiche del disciplinare - l’imbottigliamento in zona e l’inserimento delle 33 unità geografiche aggiuntive - c’è la battaglia per cambiare i criteri della riconversione viticola perché “per sistemi consolidati come quello del Soave - afferma Lorenzoni - è necessario modificare le regole di ingaggio. Non si può, per esempio, imporre forme di allevamento a parete al posto della pergola. Confidiamo che i decreti attuativi del Testo Unico (legge 238/2016) per quanto riguarda l’articolo 7 sulla salvaguardia dei vigneti eroici o storici, come sono state riconosciute le Colline del Soave, consentano alle Regioni di dare nuovi e adeguati strumenti per rispettare le viticolture storicizzate”.

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