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VERSO IL FUTURO

Cisgenetica e Genome Editing, best practices per “modificare” il futuro della vigna e del vino

Tra cambiamento climatico, sostenibilità, ideologia e scienza, gli spunti del Forum della Cia-Agricoltori Italiani
CIA-AGRICOLTORI, GENETICA, vino, Italia
La genetica fondamentale per il futuro della viticoltura, il messaggio dal forum Cia

All’alba, ed anche un po’ più in là, di uno stravolgimento climatico globale, il comparto vitivinicolo italiano è chiamato a riflettere su scelte e tematiche di carattere e rilievo fondamentale. L’interrogativo riguarda i vitigni tradizionale e/o autoctoni che hanno reso grande il Belpaese del vino. Saranno quest’ultimi in grado di sopravvivere ai cambiamenti climatici quali siccità ed aumento delle temperature? Inoltre, come è possibile garantire una sostenibilità della vigna, pianta legnosa dai cicli lunghissimi e spesso soggetta a trattamenti chimici? Domande ricorrenti, ma dalle scelte di un oggi mai tempestivo, e quindi già uno ieri, dipende il futuro dell’enologia italiana. Spunti al centro del Forum vitivinicolo italiano, organizzato da Cia-Agricoltori Italiani, oggi a Firenze.
“I recenti approcci agronomici - ha spiegato Riccardo Velasco, direttore del Centro di Viticoltura ed Enologia del CREA - possono diminuire il numero di trattamenti, e già da una decina di anni processi di miglioramento genetico della vite sono presenti in alcune regioni italiane. Accanto a questo, si inseriscono nuove opportunità come il genome editing”.

Michele Morgante, docente di genetica presso Università di degli Studi di Udine ha evidenziando la situazione dei vitigni così come la conosciamo ad oggi: “la vite è la specie botanica che ha goduto meno dello sviluppo tecnologico. Ha un problema di sostenibilità ambientale, avendo fatto poco uso di genetica ha usato massivamente la chimica. Sono stati i prodotti chimici ad aiutare la sopravvivenza contro i nemici. Inoltre al di là delle varietà nuove che sono state registrate, sarebbe possibile rendere i vigneti esistenti resistenti, tramite la cisgenesi”.


Ma non solo la tecnologia è carente in vigna, anche la normativa che regola l’impiego di vitigni ibridi è rimasta indietro, continua il professor Morgante: “Il quadro normativo che ci si presenta oggi è molto complicato. L’Italia ha deciso di iscrivere al registro nazionale delle varietà di vite come ibridi. In questo caso i nuovi vitigni non possono essere usati nelle Doc ma solo in vino da tavola e Igt. C’è bisogno di cambiare la normativa e classificare questi nuovi vitigni come vitis vinifera. Per ottenere l’autorizzazione alla coltivazione delle varietà, in Italia bisogna inoltre chiedere regione per regione. Un percorso farraginoso, che trova resistenze anche in ideologie. Il futuro dell’agricoltura dovrà passare dalle biotecnolegie e il miglioramento genetico, per salvaguardare le tradizioni. Dobbiamo prendere decisioni logiche e non ideologiche. Oggi le difficoltà sono legate più a questioni normative - spiega a WineNews - che scientifiche”.

Vitigni ibridi che vengono inseriti in coltivazioni accanto ai grandi classici italiani, una rivoluzione che, come in tante altre epoche del mondo agricolo, accompagna la società verso nuovi orizzonti e standard qualitativi, il dibattito è ampiamente aperto. Secondo Antonio Rossi, responsabile del Servizio Normativo Giuridico dell’Unione Italiana Vini (Uiv), “la ricerca scientifica è riuscita ad innovare e trovare soluzioni impensabili, la legislazione di conseguenza fotografa la situazione. Spesso però non esiste sintonia di tempi tra l’innovazione e la regolamentazione. Le norme sono di conseguenza ingessate. La normativa vigente è del 2001, quindi quasi del secolo scorso. Le normative di base, passano addirittura da una direttiva di base del 1968 con gli emendamenti più recenti che risalgono al 2002 con l’introduzione di norme regolanti il trattamento degli Ogm. Il legislatore Ue dovrà fare la sua parte per accompagnare queste innovazioni scientifiche in modo “laico” e senza pregiudizi, ma la ricerca dovrà fare la sua parte per fornire il supporto necessario alle scelte politiche dell’Unione Europea”.

Risposte sul piano normativo che arrivano direttamente dal membro della commissione europea João Onofre, Capo Unità DG AGRI Wine, Spirits and Horticultural products: “la nostra proposta si basa sul successo della riforma 2008 (fa riferimento al Regolamento 479/2008, ndr). Questa ha permesso uno sviluppo gigantesco del settore vinicolo. Una politica giusta che ha permesso di eliminare il sistema di sostegno alla produzione di massa verso una produzione di qualità. Il prezzo medio delle vendite del vino è aumentato, abbiamo vinto il mercato interno. Come commissione Europea abbiamo due sfide concatenate da affrontare la sostenibilità e cambiamenti climatici da una parte e dall’altra stile di vita e riconoscibilità del prodotto. L’utilizzo dei vitigni resistenti permette una protezione per l’ambiente ed un’economia per i produttori. Non capiamo le resistenze, la commissione non obbliga ma da la possibilità di utilizzare questi vitigni. Non è Bruxelles che impedisce questo, sono le posizioni degli stati membri, Italia in primis”.

Parola dunque ai produttori che hanno già avviato le sperimentazioni con qualche ettaro vitato con vitigni resistenti. Riccardo Ricci Curbastro, produttore della Franciacorta con la celebre cantina Ricci Curbastro e presidente Federdoc, racconta: “io ho piantato un vigneto Piwi e non l’ho mai trattato. Cosa ne traggo come impresa? Non tratto chimicamente e risparmio soldi. È una strada da percorrere, anche per una questione di costi ed economia. E non possiamo negare la strada dell’innovazione. Il cambiamento va fatto un passo alla volta. Dobbiamo però sperimentare con i vitigni clone, non possiamo”.

Secondo Giancarlo Pacenti, produttore di Brunello di Montalcino, con la cantina Siro Pacenti, “si deve affrontare in maniera logica e scientifica il problema. Il futuro della viticoltura deve passare dalla sostenibilità, impattando l’ambiente. E sono tante le strade da percorrere, ad esempio l’agricoltura di precisione. Una questione complessa da affrontare è il fatto di come sono percepite dei consumatori i vitigni storici. Una produzione unica al mondo ed irripetibile. Le tecniche cisgenetiche e genoma editing, consentono di mantenere le caratteristiche dei vitigni originari e allo stesso tempo preservarne la resistenza”.

Per Massimiliano Apollonio, produttore in Puglia con la cantina Apollonio, enologo e vice presidente Assoenologi, “bisogna accelerare al massimo gli studi, specialmente per l’olivicoltura. In Puglia stiamo piangendo lacrime amare per questo argomento. Ormai siamo arrivati ad un limite e non possiamo più aspettare. Siamo totalmente favorevoli all’innovazione e alla scienza, specialmente in relazione al cambiamento climatico”

Ancora, spiega Roberto Sandro, presidente GIE Vitivinicolo Cia-Agricoltori Italiani e produttore di Prosecco: “noi in Veneto sentiamo la pressione delle mamme, della pubblica amministrazione per la grande diffusione di vitigni. Noi abbiamo piantato 6 tipologie di vitigni resistenti, per rispondere ai continui controlli ogni volta che facciamo un trattamento. La prossimità dei vitigni con i civili fa salire una pressione nei nostri confronti. I vitigni resistenti sono una realtà, siamo decisi come Cia e come produttori a difendere chi pianta vigneti di questo tipo”.

“L’innovazione non è solo nuova conoscenza, ma anche trasferimento e diffusione di tecniche elaborate in questi anni - ha concluso il presidente della Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino - finora non collaudate in campo e non implementate nei processi aziendali. Bisogna sviluppare nuove relazioni tra pubblico e privato e interazioni più strette tra mondo dell’impresa e mondo della ricerca. In questo senso, è necessario rilanciare moderni sistemi di formazione e consulenza d’impresa, adeguati ai nuovi scenari, capaci di mettere in rete i sistemi regionali, con i centri di eccellenza a livello nazionale ed anche europeo”.

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