“Salviamo il grano e la pasta italiani”. Sono 40.000 finora, ma il loro numero negli ultimi giorni sta crescendo di 10.000 al giorno. Sono le firme raccolte dalla petizione nazionale, lanciata da Cia-Agricoltori Italiani per difendere grano e pasta italiani, con la richiesta al Governo “di attivare misure che tutelino i consumatori e permettano ai produttori cerealicoli di coltivare grano in condizioni migliori di quelle attuali”. Un tema, quello del “caro-pasta”, che si è acceso nei giorni scorsi con le posizioni opposte di agricoltori e pastai ma che appare lontano dall’esaurirsi.
Secondo Cristiano Fini, presidente degli Agricoltori Italiani (Cia), “la situazione è semplice e drammatica: con i prezzi riconosciuti ai produttori, le aziende agricole non riescono a coprire i costi di produzione. Il valore e la redditività devono essere redistribuiti più equamente lungo la filiera. Dobbiamo cercare di fare più attenzione rispetto ai grani che vengono importati. La filiera si rafforza se crescono anche il settore primario e la produzione italiana, altrimenti il rischio è che la scarsa redditività costringa le imprese italiane del comparto a rinunciare a seminare grano, con una crescita della nostra dipendenza dall’export e la perdita di posti di lavoro”.
Cia-Agricoltori Italiani ha spiegato come “le quotazioni del grano duro italiano, in meno di un anno, sono passate da 580 euro/tonnellata del giugno 2022 agli attuali 360 euro/tonnellata. Mentre il valore riconosciuto ai produttori italiani diminuisce, il prezzo pane e pasta aumenta. Sul crollo delle quotazioni, incide l’arrivo massiccio in Italia di grano proveniente dall’estero, in quantità crescenti dall’Ucraina”. Un grano che, sottolinea Angelo Miano, presidente Cia-Agricoltori Italiani per la Provincia di Foggia, l’area che detiene il primato della produzione di grano duro in Italia, “ha un prezzo inferiore, ed è quindi molto appetibile per le industrie molitorie e quelle della pasta” e che “costa meno di quello italiano perché ha costi di produzione inferiori ai nostri. In Ucraina, inoltre, non vigono le normative Ue sull’uso di pesticidi e sugli standard di qualità e sicurezza alimentare. Non è concorrenza tra poveri, perché a essere ricchi e ad arricchirsi ancora di più sono soltanto le grandi aziende produttrici che in Ucraina hanno il controllo totale della produzione cerealicola del loro Paese”.
Gennaro Sicolo, presidente Cia Puglia e vice presidente Cia-Agricoltori Italiani, pone un interrogativo: “può definirsi “italiana” la pasta che viene realizzata senza utilizzare grano duro italiano? È una domanda alla quale stanno rispondendo i consumatori, sottoscrivendo in massa la nostra petizione. La nostra mobilitazione sta diventando sempre più estesa perché a rischio non è solo del futuro della filiera grano-pasta, ma anche la salute dei nostri figli. C’è un apparente paradosso a dominare la scena: la materia prima è sempre più deprezzata, anche a causa dell’importazione massiccia di grani esteri che spingono verso il basso le quotazioni del frumento italiano, ma la pasta nei supermercati costa sempre più cara e le grandi marche stanno “mietendo” profitti in crescita esponenziale, mentre le aziende cerealicole sono in crisi. Non contestiamo la necessità di importare una quota di grano dall’estero per coprire parte del fabbisogno industriale - spiega Sicolo - ma temiamo che quella quota si avvii ad essere maggioritaria e che l’aumento incontrollato delle importazioni porti alle estreme conseguenze una dinamica già in atto: la riduzione progressiva della produzione di grano italiano, la chiusura di centinaia di aziende cerealicole e la perdita di migliaia di posti di lavoro. Di questo parlerò il 17 maggio nel Durum Days di Foggia, sperando vivamente che il Ministro delle Politiche Agricole Francesco Lollobrigida accolga il nostro invito ad esserci ed a confrontarsi con noi su questa drammatica questione”.
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