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CULTURA ENOGASTRONOMICA

Dalla “polizia del sushi” alla strategia della Thailandia: come si difendono le cucine nel mondo

Tra repressione e promozione, la lezione che l’Italia può imparare (dopo la candidatura Unesco a Patrimonio dell’Umanità)
CIBO ETNICO, Cucina, FALSI, GIAPPONE, ITALIAN SOUNDING, SUSHI, THAILANDIA, Non Solo Vino
La cucina giapponese è una delle più scopiazzate del pianeta

Uno degli svantaggi di essere bravi è che gli altri cominciano a copiarti: succede anche per le grandi cucine del mondo. Se è vero che ormai pullulano a tutte le latitudini improbabili ristoranti tricolori e prodotti enogastronomici made in Italy contraffatti (basti pensare che l’Italian sounding rappresenta per il nostro Paese un danno che ammonta a 120 miliardi di euro), può essere una magra consolazione il fatto di essere in buona compagnia, con Giappone e Thailandia in pole position. Da questi Paesi la cucina italiana può imparare come difendersi, soprattutto dopo la sua candidatura a Patrimonio dell’Umanità Unesco. Il segreto? Puntare sui propri “soft powers”.
Quella giapponese è una delle cucine più scopiazzate del pianeta, al punto che, nel 2006, il Ministero dell’Agricoltura del Paese del Sol Levante aveva lanciato una proposta di legge (che non ha avuto seguito) per creare una sorta di “certificato di autenticità” dei ristoranti giapponesi all’estero. I parametri riguardavano tutti gli aspetti della ristorazione: la scelta delle materie prime, la preparazione, l’esperienza dei cuochi, la presentazione e non ultimo il servizio. Per avere la certificazione tutto doveva essere conforme all’autenticità nipponica, e i criteri iniziali di giudizio erano così rigidi e inflessibili che si cominciò a parlare di “polizia del sushi”. Una strategia basata sulle repressione che però non ha avuto i risultati sperati.
La cucina della Thailandia soffre degli stessi tentativi di imitazione, però ha preferito investire sulla promozione, formando chef e creando scuole di cucina per diffondere all’estero la propria cultura gastronomica. L’effetto è stato quello di triplicare i ristoranti thai nel mondo in pochi anni, facendo aumentare la reputazione gastronomica del Paese. Un esempio seguito anche da altri stati del Sud Est asiatico, come Corea del Sud e Malesia. In tutti questi casi la cucina è diventata una sorta di “strumento diplomatico”, pronta ad aprire le porte ed essere esportata con successo fuori dai confini nazionali.
Una lezione che potrebbe risultare preziosa per l’Italia, soprattutto in seguito alla candidatura Unesco della nostra cucina a Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità: un’occasione unica e irripetibile per promuovere la cultura gastronomica made in Italy all’estero, puntando sui nostri “soft powers” - socialità, qualità delle materie prime, ricette tradizionali e regionali, giacimenti enogastronomici, scuole di cucina di eccellenza, abbinamenti cibo-vino, creatività, sostenibilità - piuttosto che sulla repressione.

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