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NUOVO APPELLO

Per il 74% degli italiani gli studenti devono imparare la cultura enogastronomica italiana

Roberta Garibaldi: “l’educazione alimentare a scuola è un’esigenza di salute pubblica e dà valore alla filiera agroalimentare ed ai produttori locali”

Il 74% degli italiani considera importante che studentesse e studenti acquisiscano conoscenze relative alla cultura enogastronomica italiana, il 69% che possano imparare a curare un orto ed il 57% a cucinare, sebbene questa necessità tende a diminuire di importanza tra i più giovani. A dirlo, è Roberta Garibaldi, presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico (Aite) e autrice del “Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano”, ricordando che in Italia l’educazione alimentare non è attualmente prevista come insegnamento obbligatorio nelle scuole, nonostante molte iniziative, anche di natura legislativa, che rimarcano l’importanza di una corretta e sana alimentazione per gli studenti, come l’appello lanciato da Slow Food “Con il cibo si cambia, con il cibo si educa” che punta a raccogliere un milione di firme, e che ha mosso anche il Governo. E sottolineando come la sua introduzione tra le materie scolastiche può rappresentare una strategia di prevenzione e un’esigenza di salute pubblica contro l’obesità anche in Italia, e contribuire a preservare il patrimonio enogastronomico italiano e a dare valore alla filiera agroalimentare italiana ed ai produttori locali che sono custodi.
Educare ai principi della sana alimentazione, del consumo responsabile e consapevole e al valore culturale del patrimonio enogastronomico “è oggi un’esigenza sempre più sentita e riconosciuta come prioritaria, specialmente nei confronti delle nuove generazioni - secondo Roberta Garibaldi - la scuola, dopo la famiglia, ha un ruolo centrale nella formazione e nella socializzazione. Fornisce a studenti e studentesse gli strumenti per una crescita culturale, psicologica e sociale, promuove la responsabilità, l’autonomia e la cittadinanza attiva. Introdurre l’educazione alimentare nei piani formativi degli istituti primari e secondari rappresenta la modalità principe per accrescere le conoscenze e sostenere comportamenti consoni”.
In Italia, l’alimentazione scorretta rappresenta il principale fattore di rischio comportamentale causa di morte dopo il fumo, con 144,9 decessi provocati ogni 100.000 abitanti e un’incidenza del 23,1% sul totale dei decessi. È, inoltre, insieme alla sedentarietà, una delle cause di obesità, fenomeno che sta assumendo una dimensione sempre più importante. Il 46,2% della popolazione di età maggiore ai 18 anni è in eccesso di peso, e nello specifico il 34,2% è in sovrappeso e il 12% è obeso. Guardando ai più piccoli, questo problema interessa il 28,9%, una percentuale decisamente superiore alla media europea che fa collocare l’Italia al quarto posto in Europa. L’impatto sul sistema sanitario nazionale è rilevante, poiché la gestione e la cura delle patologie croniche non trasmissibili associate rappresenta il 9% della spesa sanitaria annua e si stima porti una riduzione del Pil del 2,8%. Per questo l’introduzione dell’educazione alimentare nelle scuole diviene una strategia di prevenzione che accresce la consapevolezza e le conoscenze sui rischi correlati a diete scorrette ed i benefici derivanti dal modificare le abitudini. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) raccomanda una dieta sana ed equilibrata per contrastare l’obesità ed il rischio di malattie potenzialmente letali. Per la presidente Aite, “questa indicazione dovrebbe essere teoricamente di più facile applicazione in Italia poiché si rifà ai dettami della Dieta Mediterranea, tuttavia, solo il 17,3% dei nostri concittadini è consapevole dell’effettivo consumo di frutta e verdura consigliato, e il 5% segue questa buona pratica”.
Tutto questo perché l’educazione alimentare contribuisce a preservare il patrimonio enogastronomico italiano, di cui la Cucina Italiana candidata all’Unesco e la Dieta Mediterranea eletta come la migliore al mondo, sono le più note espressioni. “Ma la progressiva minore abitudine a cucinare della popolazione, specialmente tra i più giovani, e la tendenza all’omogeneizzazione delle abitudini alimentari potrebbe portare ad una perdita graduale di questo insieme unico di conoscenze culinarie e prodotti - sostiene la professoressa di Tourism Management all’Università di Bergamo - oggi, buona parte delle persone consuma il pranzo fuori casa. Questo non è un problema in sé, ma lo diventa se consideriamo che il tempo dedicato dagli italiani a cucinare è in progressiva diminuzione circa un’ora tra colazione, pranzo e cena. Il rischio concreto è la dispersione dei saperi connessi e che caratterizzano, da Nord a Sud con espressioni differenti, il nostro Paese”. Inserire l’insegnamento dell’educazione alimentare nelle scuole può diventare il mezzo attraverso cui educare le nuove generazioni al patrimonio enogastronomico, stimolando una presa di coscienza collettiva e contribuendo alla sua tutela. “A corsi di natura teorica è auspicabile affiancare lezioni pratiche - per l’autrice del Rapporto sul Turismo Enogastronomico in Italia - è attraverso la manualità che il processo di “riappropriazione” può diventare più efficace”.
Ultimo, ma non ultimo, l’introduzione dell’educazione alimentare tra le materie scolastiche ridà valore alla filiera agroalimentare italiana. “I piccoli produttori agroalimentari e gli artigiani del gusto figurano tra i depositari del patrimonio enogastronomico italiano. Attraverso il loro lavoro, mantengono vive le tradizioni, le usanze, le conoscenze che caratterizzano le produzioni enogastronomiche locali (la dimensione intangibile). Parimenti, sono elementi caratterizzanti il tessuto economico e sociale del nostro Paese, nei centri urbani così come nelle aree rurali, la cui perdita avrebbe effetti negativi sotto tutti i punti di vista, anche in termini di dispersione del patrimonio enogastronomico italiano. È pertanto auspicabile rafforzare l’insegnamento dell’educazione alimentare con attività integrative quali attività di visite ai piccoli produttori locali e agli artigiani del gusto - conclude l’esperta - i risvolti di questa iniziativa avrebbero ricadute su tutti gli attori coinvolti. Per le nuove generazioni, la visita sarebbe occasione per acquisire conoscenze di natura teorica e pratica complementari a quanto svolto in aula. Inoltre, si andrebbe ad accrescere l’appeal di queste professioni garantendone la prosecuzione. Per i piccoli produttori locali e gli artigiani del gusto, la collaborazione con gli istituti scolastici potrebbe offrire un concreto supporto (in primis di natura economica) alla loro sopravvivenza e supportare la creazione futura di nuova impresa giovanile. Si andrebbe così a creare un circolo virtuoso, con benefici diffusi”.

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