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IL TEMA

Canada, studio dice “no” ai benefici del bere moderato. E si parla di “health warnings” in etichetta

Un progetto guidato dall’Università di Victoria ha analizzato le misure della politica sull’alcol in tutto il Paese, proponendo riforme forti
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Il Canada ridiscute le politiche su alcol e salute

Una parte importante, del futuro del settore vino, si giocherà anche con le politiche nazionali, e quindi sulle scelte che verranno prese e sui “messaggi” da lanciare ai consumatori. Perché se c’è chi vede il vino, al netto della “moderazione” - tema che deve essere sempre ben centrale - come un prodotto culturale, presente sin dall’antichità, frutto di tradizioni e saperi da conservare, c’è anche chi, dalla parte opposta, sceglie la strada del “no alcol”, alimentata da una comunicazione d’impatto per scoraggiarne il consumo, vino compreso. Tesi diverse che difficilmente trovano una sintesi, considerando che anche la scienza si divide, con studi che mettono in evidenza i benefici di un consumo moderato e consapevole di vino ed altri che ne condannano anche i bassi quantitativi. E la questione del consumo di alcolici continua a far discutere anche in Canada, un Paese fondamentale per il mercato del vino italiano, e vicino agli Stati Uniti, leader nelle importazioni: nel 2023 il Canada per l’Italia si è rilevato il quinto mercato in valore per le esportazioni di vino, con 388,8 milioni di euro (-9% in un 2023 difficile, come dimostrano i dati Oemv analizzati da WineNews che, per le importazioni del Paese nordamericano parlano di -321 milioni di euro e -43 milioni di litri), ma con un 2024 in ascesa grazie a 115,7 milioni di euro di import nel primo quadrimestre (+11,4% sui primi 4 mesi 2023).
Il Canada aveva già rivisto le sue linee guida per i consumi di alcolici (due drink a settimana) ma il tema “alcol e salute” continua ad essere centrale. Un progetto, guidato dall’Università di Victoria, ha analizzato le misure della politica sull’alcol in tutto il Paese, proponendo iniziative dettagliate per “rimettere in carreggiata” il Canada. Il progetto si chiama Canadian Alcohol Policy Evaluation (Cape), ed è guidato dal Canadian Institute for Substance Use Research (Cisur) dell’University Of Victoria, un lavoro che ha riunito ricercatori di istituzioni di tutto il Canada per valutare le politiche di controllo dell’alcol a livello federale ed in tutte le 13 province e territori. Ribadendo non solo l’importanza di chiedere alle persone di prendere in considerazione la possibilità di ridurre il consumo di alcol, ma soprattutto che i governi apportino modifiche alle politiche sugli alcolici. Un quadro attualmente definito come tutt’altro che roseo. Tra le raccomandazioni suggerite per invertire la rotta, rientrano anche, come ha spiegato Tim Naimi del Cisur e direttore del progetto Cape, la creazione di prezzi minimi legati al contenuto alcolico e indicizzati all’inflazione, lo spostamento della supervisione della regolamentazione e delle vendite di alcolici e un Ministero governativo focalizzato sulla salute o sulla sicurezza piuttosto che sulla finanza, la riduzione delle ore di vendita, l’obbligo di etichette di avvertenza per i contenitori di alcolici (sul modello irlandese, ndr), l’approvazione ufficiale della nuova guida canadese su alcol e salute. Anche se molte di queste politiche “forti” sono oggi in atto in alcune parti del Canada.
E sempre dal Canadian Institute for Substance Use Research dell’Università di Victoria, arriva uno studio che “stronca”, secondo chi lo ha condotto, la convinzione legata ad i benefici di un consumo moderato di alcolici come dimostrato dalle ricerche con al centro la “curva J”. L’analisi canadese attribuisce la responsabilità del “messaggio roseo” ad una ricerca errata che “confronta i bevitori con le persone malate e sobrie”. Gli scienziati, riporta il quotidiano inglese “The Guardian”, hanno analizzato 107 studi pubblicati sulle abitudini di consumo delle persone e sulla loro durata di vita. Nella maggior parte dei casi, hanno scoperto che i bevitori venivano confrontati con persone che si astenevano o consumavano pochissimo alcol, senza tenere conto del fatto che alcuni avevano ridotto o smesso per problemi di salute. Questo, sostiene lo studio, significherebbe che tra gli astemi ed i bevitori occasionali c’è un numero significativo di persone malate, il che abbassa la salute media del gruppo e fa sembrare “migliori” i bevitori “moderati” nel confronto. Molti studi dedicati all’impatto dell’alcol sulla salute mostrano un effetto della “curva J”, dove i tassi di mortalità sono più bassi tra coloro che bevono poco. Quando il team canadese ha combinato i dati degli studi nella sua analisi, e questi indicavano che i consumatori che bevevano da un drink alla settimana a due al giorno avevano un rischio di morte inferiore del 14%, durante il periodo di studio, rispetto agli astemi. Ma l’apparente vantaggio è svanito ad un esame più attento. Negli studi che includevano soggetti più giovani e si assicuravano che gli ex bevitori ed i bevitori occasionali non fossero considerati astemi, non c’erano prove che i bevitori “moderati” vivessero più a lungo. “È stato un colpo di propaganda per l’industria dell’alcol proporre che l’uso moderato del loro prodotto allunga la vita delle persone”, ha affermato il dottor Tim Stockwell, primo autore dello studio e scienziato del Canadian Institute for Substance Use Research dell’Università di Victoria, aggiungendo che “l’idea ha avuto un impatto sulle linee guida nazionali sul consumo di alcol, sulle stime del carico di malattie legate all’alcol in tutto il mondo ed è stata un ostacolo alla formulazione di politiche efficaci”.

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