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Affari & Finanza Di Repubblica

Per il vino un timido raggio di sole ... Per il vino piemontese la notte, iniziata all’inizio del nuovo millennio, non è ancora finita. Ci sono timidi segnali di ripresa, soprattutto nelle esportazioni, ma molte, troppe, cantine restano piene. E, per paradosso, le vendemmie abbondanti degli ultimi tempi (una media di produzione di tre milioni di ettolitri annui dal 2003 ad oggi) hanno aggravato la situazione: pur di svuotare le cantine molti produttori hanno infatti accettato di vendere alla grande distribuzione o a aziende imbottigliatrici una parte del prodotto a prezzi molto ridotti: e quando questo è finito sul mercato si è creata una concorrenza al ribasso dagli effetti deleteri. Un problema serio, perché il vino è uno dei prodotti di punta dell’economia piemontese: nei numeri, prima di tutto. I vigneti occupano 53 mila ettari di superficie, le aziende vitivinicole sono 28 mila, 280 le imprese industriali che producono vino e distillati per un valore della produzione totale che supera i 400 milioni di euro l’anno. Ma oltre i numeri c’è l’immagine: Barolo e Barbaresco, per fare i nomi solo dei vini di punta della produzione regionale, sono due dei "marchi" che più hanno fatto conoscere il Piemonte nel mondo. Per Piero Quadrumolo, presidente di Terre da Vino, azienda di Barolo che produce circa 5 milioni di bottiglie l’anno (di tutte o quasi le Doc e Docg piemontesi) e che riesce a coniugare buona qualità a prezzi umani, «il punto più basso però l’abbiamo già toccato. Adesso non possiamo che risalire: un po’ di recupero c’è, soprattutto sui mercati esteri, Stati Uniti e anche Germania, i nostri referenti storici. Dipende però dai vini: Barolo e Barbaresco, ma anche l’Arneis hanno meno problemi. La crisi riguarda soprattutto Barbera e Dolcetto: vini che hanno un nome meno forte sui mercati e che stanno pagando la concorrenza verso il basso dei paesi emergenti dell’enologia, Cile, Argentina, Australia, capaci di invadere la grande distribuzione con prodotti decenti a prezzi molto bassi. E a soffrire sono soprattutto le aziende più piccole». Già perché il problema del Piemonte è che qui, sia per le caratteristiche del territorio, in gran parte collinare, che per quelle delle aziende, in genere piccole (meno di 100 mila bottiglie di produzione l’anno) e a conduzione familiare, fare il vino costa caro. E i prezzi non possono scendere a più di tanto. Così se le griffe langarole, i Gaja, Voerzio, Ceretto, Clerico, continuano a vendere i loro prodotti (di altissima qualità e a prezzi d’affezione), proprio perché ormai sono brand richiesti in ogni parte del mondo, per tutti gli altri la concorrenza internazionale rischia di essere troppo forte. E anche in Italia i vini del Sud soprattutto, siciliani, pugliesi, stanno vincendo la battaglia nelle enoteche e sugli scaffali dei supermercati. «Non c’è dubbio, la situazione del vino piemontese in generale è un po’ ingarbugliata» spiega Giovanni Minetti, amministratore delegato di Fontanafredda, storico chateau di Langa, 2 milioni di bottiglie di vini di qualità prodotte l’anno (e 4 milioni di bottiglie di spumanti). La loro scelta di essere sponsor delle Olimpiadi invernali di Torino 2006 però ha pagato: «Sì, siamo in controtendenza dice soddisfatto Minetti dal Brasile, dov’è per promuovere il suo vino Negli ultime mesi abbiamo avuto un incremento nelle esportazioni del 30 per cento. L’effetto Giochi si fa sentire, ma bisogna dire che è da anni che lavoriamo per migliorare la qualità e il packaging dei nostri vini: insomma abbiamo avuto il prodotto giusto al momento giusto». Se la crisi sia alle spalle o no, lo diranno i prossimi mesi. Mino Taricco, assessore all’agricoltura della Regione Piemonte ha comunque pronte alcune ricette per aiutare i produttori a tirarsene fuori: «È una situazione con chiaroscuri. I prodotti di fascia altissima vanno bene, il resto meno. Stiamo approntando una serie di strumenti che permetta di governare meglio il rapporto con il mercato: prima di tutto una fascetta regionale che dia garanzie assolute dei sistemi di controllo su vino a Doc e Docg, per evitare che certi produttori cambino da un anno all’altro a seconda delle convenienze. Poi abbiamo chiesto all’Unione Europea di poter distillare un po’ di produzione per ridurre le eccedenze di magazzino. In più vogliamo coordinare meglio la promozione del prodotto Piemonte che in questi anni è stata invece gestita con una certa anarchia. Dall’ultimo Vinitaly abbiamo avuto segnali positivi di ripresa di interesse da parte di molti mercati stranieri. Speriamo che continuino».
Autore: Marco Trabucco

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