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Affari & Finanza / La Repubblica

Cavit punta agli Usa partendo dalla California ... Un gigante con i piedi nell’argilla. Magari della Valle dei Laghi. Ma anche nel calcare della Valdadige, nelle sabbie del piano Rotaliano, e sui graniti delle prealpi altoatesine e della Val di Cembra. Cavit è per dimensioni il secondo gruppo vinicolo italiano, con una fortissima propensione all’export e rappresenta da solo il 70% della produzione del Trentino, uno dei giacimenti più importanti sia in qualità che in quantità del vino italiano. Non è un caso se colossi mondiali delle bottiglie di Sonoma, in California, hanno scelto questa maxicooperativa come partner per aprire il mercato a stelle e strisce, il più importante della terra, alle etichette made in Italy. E proprio in un momento in cui la produzione mondiale di vino sta subendo una forte mutazione. L’Italia detiene ormai stabilmente il primato quantitativo (52 milioni di ettolitri la media produttiva degli ultimi 5 anni) e ora sono in molti ad attribuirci anche l’Oscar della qualità. Sicuramente ci appartiene quello per il rapporto tra prezzo e valore intrinseco della bottiglia. Tuttavia i paesi emergenti (Australia, Sud Africa, Cile, Argentina) stanno facendo una fortissima concorrenza ai nostri prodotti e ancor più a quelli francesi. Il tallone d’Achille della vecchia Europa sta nella parcellizzazione della produzione, che mal si sposa con le esigenze della grande distribuzione. Da questo punto di vista realtà come Cavit sono la migliore risposta possibile sul mercato globale. Perché coniugano dimensioni "sostenibili" anche su mercati di massa, con qualità costante e con la specificità delle produzioni vinicole italiane capaci di offrire al consumatore una pluralità di gusto attraverso la vinificazione dei vitigni autoctoni e l’esaltazione delle diversità di terroir. Da qui, dalla natura stessa dell’azienda, inizia il successo della Cavit. E’ – come recita il gergo tecnico – una cooperativa di secondo livello che associa 13 delle 15 cantine sociali trentine. E in questa regione le coop sono una necessità per ricondurre ad unità produzioni viticole iperfrazionate. Cavit raccoglie l’uva di oltre 5400 coltivatori e assomma 7 mila ettari sui quasi 10 mila "vitati" in Trentino. Ne estrae un onda di vino: quasi 600 mila ettolitri, un po’ di più dell’1% della produzione nazionale. Questo "impero di Bacco" non è nato con un’espansione rapida. E’ stata la politica del passo lento e costante a portare la Cavit al successo internazionale La Cavit è sorta nei primi anni 50, dal ‘57 è attiva nella commercializzazione e dal 77 è ospitata nella megacantina di Ravina di Trento che con i periodici ampliamenti ed ammodernamenti è arrivata a coprire oltre 50 mila metri quadrati di superficie. Da molti anni a guidarla è Francesco Sartori (in Trentino è semplicemente il "presidente") l’uomo che più fortemente a innovato e sostenuto la vitivinocoltura trentina. Un successo che è stato costruito sul triplo binario della qualità, della quantità e della specificità. Per prima questa cooperativa ha imposto ai soci conferitori un disciplinare di produzione, per prima ha sperimentato la zonazione dei terreni (cioè la scelta del vitigno più adatto ad essere coltivato in un determinato territorio) per prima ha diversificato le produzioni in base alla qualità delle uve e dei vini ottenuti. Questo progetto si chiama "sistema maso" e trae spunto dalla tradizionale unità poderale trentina. Agronomi ed enologi di Cavit "insegnano" ai singoli viticoltori a cavare il meglio dal loro territorio. Ma maso in Cavit è una parola chiave perché designa la sede di rappresentanza e la linea di bottiglie d’eccellenza: Maso Toresella. Fu la tenuta dei Principi Vescovi, oggi è sede della direzione strategica dell’azienda e delle attività di ricerca.
Da sempre Sartori è infatti convinto sostenitore della ricerca per migliorare la qualità e così si spiega la pluriennale collaborazione tra la Cavit e l’Istituto di San Michele all’Adige, una delle più autorevoli scuole enologiche del mondo. Da questa partnership è nato l’affinamento delle produzioni di Cavit che ha scelto di difendere la tipicità (la cantina produce Schiava, Muller Thurgau, Marzemino, Teroldego, Moscato Rosa, Vino Santo, Lagrein, Gewurtztraminer, Nosiola tutti vitigni autoctoni del Trentino e dell’Alto Adige) per mantenere l’identità di questo terroir anche se affianca a queste bottiglie importanti produzioni da vitigni internazionali (Merlot, Cabernet, Chardonnay, Sauvignon, Pinot Noir, Blanc e Gris) e si è specializzata nella produzione di spumanti sia con metodo Charmat sia con metodo classico. Di bollicine d’autore con il marchio Cavit se ne stappano oltre 5 milioni.

I numeri del consorzio: tredici cantine e 5400 viticoltori

Il gruppo Cavit è fortemente orientato i mercati internazionali. Nel 2002 ha fatturato oltre 156 milioni di euro di cui il 70% derivante dall’esportazione. Copre il 70% della produzione trentina (poco meno di 60 mila ettolitri di vino) con 173 dipendenti diretti. Raggruppa 13 delle 15 cantine sociali trentine associa oltre 5400 viticoltori. La produzione di bottiglie ha sfondato il tetto dei 35 milioni (di cui oltre 5 milioni di spumanti metodo classico) tutte coperte dal marchio Doc. A dirigere questa corazzata del vino oltre al presidente Francesco Sartori sono Giacinto Giacobini (direttore generale) e Anselmo Martini l’enologo che comanda una folta pattuglia di tecnici. Sono considerati il tris d’assi del vino italiano.

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