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Affari & Finanza / La Repubblica

Grandi vini rossi e spumanti la ricetta giusta per l’export ... In 10 anni raddoppiate le vendite: oggi sono pari al 20% di quelle nazionali e valgono un miliardo e mezzo. L’Europa primo mercato ma si guarda altrove. La regola di Ceretto: “Qualità e buone suole” ... La ricetta è sempre la stessa: “Qualità e buone suole”. L’adagio è di Bruno Ceretto il pioniere dell’export del vino di Langa, ma calza a pennello per tutto il distretto di Langhe, Roero e Monferrato, uno dei pochi che resiste alla crisi e che continua a collezionare segni più davanti al fatturati. Un successo che si deve ai signori della tavola, i grandi vini rossi, ma si fa forza anche delle più frivole bollicine che incorona. no l’Asti come uno degli spumanti più apprezzati all’estero. Nel complesso l’export di vino piemontese vola, è il 20 per cento di quello nazionale e sfiora il miliardo e mezzo di euro, oltre il doppio di dieci anni fa. Partono per terre lontane 66 milioni di bottiglie di Asti (81%), 20 di Moscato d’Asti (78%), 8 milioni di bottiglie di Barolo (65%), 2,5 di Barbaresco (55%), 10 milioni di Barbera d’Asti (40%) e 8 milioni bottiglie di Gavi (70% della produzione). I mercati forti sono quelli storici, l’Europa, Francia e Germania in testa, gli Stati Uniti e l’Australia che assorbono da sole il 90 per cento delle esportazioni. Paesi di riferimento ma che, i dati del 2012 lo confermano, iniziano a essere saturi, dove si cresce appena dello 0,2 per cento, mentre, forse proprio grazie all’applicazione del teorema di Ceretto, si supera l’8,5 per cento sui mercati emergenti e nei Bric, il 13 per cento dell’export (era il 6,4). Sono paesi difficili, lontani e con poca cultura del vino di qualità, ma hanno soldi e voglia di spendere. Il sud America, con Argentina, Cile e Brasile e la Russia, la “gallina dalla uova d’oro” per chi vende un prodotto caro e di qualità. Secondo l’analisi dell’Osservatorio sull’export del distretto, curata da Intesa Sanpaolo, le vendite verso l’ex repubblica sovietica sono passate in dieci anni da 7 a 43 milioni di euro. Una crescita analoga a quella dell’Asia che raccoglie il 5 percento dell’export, ma un fatturato di 55 milioni, in capo per metà al Giappone, con la Cina che fa da sola quasi 10 milioni. E infatti proprio in Cina conta di rifarsi il consorzio del Moscato, dopo i 16 milioni di bottiglie in meno del 2012, già in parte recuperate fino ad aprile di quest’anno (+2 milioni di bottiglie). “Lanceremo una campagna forte, per insediarci in quel mercato” dice Pier Luigi Beistro, vice presidente del Consorzio del Moscato. Grazie a un prodotto nuovo: a giorni il consorzio lancerà l’Asti hour, una versione “dolce”, e piemontese, dello spritz dove si sposeranno bollicine e frutta. Guardando ai rossi il bilancio non cambia. “Il trend è positivo: il 2012 ha fatto registrare una crescita sul 2011, che si conferma quest’anno” spiega Piero Quadrumolo, presidente del Consorzio Terre da Vino che con 5 milioni di bottiglie all’anno e 2 mila 500 aziende agricole aderenti e 23 milioni di fatturato è la più importante cooperativa vinicola piemontese. Per la prima volta nel 2012, il fatturato extra-Italia ha superato quello nazionale conquistandosi il 52 per cento.“E’ diventato un salvagente per tanti - spiega il presidente - ed è cominciatala competizione”. Un’arena, nella quale prima giocavano in pochi, grandi nomi come Gaja e Damilano, mentre ora ci provano in tanti, anche piccoli e piccolissimi produttori. Saravezza, oggi alla guida dell’azienda di Josetta Saffirio di Monforte d’Alba per i suoi baroli ha scelto un mercato nuovo anche se non esotico, la Scandinavia: “In Svezia sta crescendo la cultura del buon vino e per noi è il primo mercato, vendiamo li il 15 per cento del nostro fatturato”. D’altronde secondo l’assessore regionale all’agricoltura Claudio Sacchetto è proprio la filiera la carta vincente all’estero: “Si è scelto di puntare sulla qualità prima che sulla quantità: è così che si supera la concorrenza dei paesi emergenti dal punto di vista vinicolo”.

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