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Affari & Finanza / La Repubblica

La wine-economy è un modello per la ripresa italiana ... Come una “griffe” dell’alta moda,
il vino italiano di qualità è oggi
oggetto di tentativi di contraffazione.
Le cronache recenti ne hanno parlato.
In un’economia italiana in cronico difetto
di crescita e di competitività i successi
mietuti negli ultimi anni dall’export
vinicolo nazionale meritano attenzione.
Testimoniano una speranza
e una possibilità concreta di ripresa.
Ma segnalano anche rischi e fragilità da
conoscere e combattere, per consolidare
una prospettiva sostenibile di sviluppo.
Se tra il 2007 e il 2013 il Pil italiano
fosse cresciuto quanto è aumentato
l’export di vino, oggi il prodotto interno
lordo del Belpaese avrebbe 500 miliardi
di euro in più. La ripresa non avrebbe
subito alcuna battuta d’arresto. Il rispetto
del Fiscal Compact non desterebbe
preoccupazione. Nel 2007 le
esportazioni italiane divino ammontavano
a 3,5 miliardi di euro. Nel 2013
hanno superato la barriera dei 5 miliardi.
L’export di vino è cresciuto cinque
volte più del totale delle nostre esportazioni.
L’avanzo commerciale vinicolo
oggi costituisce poco meno di un sesto
dell’intero surplus del Paese. E stiamo
aumentando la penetrazione internazionale
dei nostri prodotti arrivando
addirittura a registrare guadagni di
quote di mercato su competitori importanti
come Francia e Australia. L’Italia
consolida la seconda posizione
nella classifica dei principali esportatori
mondiali dopo la Francia. Il vino italiano
va forte nel mondo. Va meno bene
sul mercato interno che sconta il peso
di sei anni di crisi economica. I dati
dicono che tra il 2007 e il 2012 i consumi
degli italiani sono scesi di 2 milioni
di ettolitri su 24. Ma il calo si è concentrato
sul vino comune, non Dop o Doc.
La qualità ha tenuto e paga. E una lezione
che il settore vinicolo italiano ha
imparato facendo tesoro degli errori
del passato. Ma la qualità va coltivata e
difesa, con l’innovazione, i controlli e
l’educazione dei consumatori. È un circolo
virtuoso. Sul fronte dell’innovazione,
gli enologi e i produttori italiani
non sono secondi a nessuno, come dimostrano,
ad esempio, i risultati della
produzione di vini senza solfiti. I progressi
nella tecnologia e nella ricerca
vanno integrati in una filiera che promuova
il consumo consapevole e responsabile
e contrasti i rischi di frodi e
altre azioni lesive della reputazione del
vino italiano.
In questa filiera virtuosa si iscrive anche
la questione della distribuzione.
Accanto alla quota maggioritaria detenuta
dalla grande distribuzione si consolidano
il canale “Ho.Re.Ca.” degli alberghi
e della ristorazione, il circuito di
enoteche e Ovine-bar e la vendita diretta.
In ciascun canale si sviluppano logiche
di differenziazione che retroagiscono
a monte anche nella specializzazione
e nella innovazione a livello produttivo.
Sul fronte della distribuzione
estera la sfida è quella di rafforzare il
presidio diretto dei mercati andando
oltre la tradizionale figura dell’intermediario-
importatore. Il vino è il prodotto
“giocale” per eccellenza. Da sempre
legato ad una storia ed a una cultura
dei territori, ma ora sempre più
proiettato verso una dimensione internazionale.
Le prime tre società vinicole
del mondo quotate in Borsa non sono
né italiane né francesi ma appartengono
a paesi extraeuropei. La vigna più
grande del mondo è in Cina. In questo
scenario in veloce cambiamento l’Italia
del vino ha i numeri per giocare un
ruolo importante. Posto di saper progredire
ancora sul fronte dell’innovazione
e di migliorare le strategie di
marketing, per vendere la giusta qualità
sui mercati più promettenti e attraverso
i canali più adatti. E a patto di non
farci male da soli, svilendo per quattro
soldi un’icona del nostro futuro sviluppo.

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