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BOLLICINE EMERGENTI

Alta Langa, il metodo classico “gastronomico” in terra di rossi che rilancia un intero territorio

Da “La Prima dell’Alta Langa”, le sfide di una denominazione che punta sulla qualità per scardinare le posizioni di forza degli sparkling italiani

Prosecco, Asti e Franciacorta: le bollicine, che, negli ultimi dieci anni, hanno raddoppiato il numero di bottiglie vendute all’estero, trainano le esportazioni enoiche italiane, con 520 milioni di bottiglie (il 70% della produzione complessiva), che nel 2018 è finito oltreconfine, principalmente, come ricordano le elaborazioni Ismea su dati Ista, sui mercati di Gran Bretagna, Stati Uniti e Germania. Posizioni solide, quelle dei “big three” degli sparkling tricolore, ma che non esauriscono, da soli, il racconto delle bollicine italiane, che si articola ormai su crinali ben più complessi, e se il Trentodoc non è più una novità, dal Piemonte si fanno largo i metodo classico dell’Alta Langa, che hanno superato la boa del milione e mezzo di bottiglie prodotte, sotto i dettami di uno dei disciplinari più rigidi del settore: solo due vitigni ammessi, Pinot Nero e Chardonnay, almeno 30 mesi di affinamento che danno vita solo a vini millesimati, da vigneti allevati dai 250 metri di altura in su, in un areale che si articola su tre province (Cuneo, Alessandria ed Asti), comprese le Langhe, il territorio d’elezione del Nebbiolo, terra di Barolo e Barbaresco, forse i due vini a maggiore valore aggiunto del Belpaese. Il messaggio, in questo senso, è chiaro: puntare sulle bollicine, qui, vuol dire lavorare sulla qualità, su prezzi medi importanti con l’obiettivo, neanche troppo nascosto, di rilanciare e sdoganare zone ancora lontane dalla ribalta enoica nazionale ed internazionale.
Parlare di bollicine in terre di rossi, però, non racconta tutto, perché il metodo classico, in Italia, ce l’hanno portato proprio i piemontesi, “all’inizio dell’Ottocento, qui ci sono i padri dello spumante italiano, per noi non è una moda, è tradizione”, racconta a WineNews Giulio Bava, a capo della griffe Cocchi e presidente del Consorzio Alta Langa, che, nella cornice del Castello di Grinzane Cavour, ha presentato, a “La Prima dell’Alta Langa”, l’ultimo millesimo pronto ad andare in commercio, il 2015, insieme a tante altre “chicche” ed annate. “Bollicine e rossi, qui, non sono in competizione e non si strappano vicendevolmente terreni. I tempi, qui, sono diluiti, così come la crescita: le bottiglie sono ancora poche, un milione e mezzo, ma in questa fase ci interessa la qualità e la programmazione, tra tre anni toccheremo i 350 ettari vitati, per un potenziale produttivo di oltre tre milioni di bottiglie”, aggiunge Giulio Bava. Ma c’è di più, perché per molti l’Alta Langa rappresenta una possibilità, l’opportunità di produrre “grandi bollicine, che una volta erano appannaggio solo di brand storici”, ricorda Sergio Germano, a capo della griffe del Barolo Ettore Germano. “La nascita di una denominazione capace di abbracciare un intero territorio, che lambisce quello del Barolo e arriva fino all’Alta Langa vera e propria, storicamente meno fortunata, raccontata da Fenoglio come quella zona in cui l’inverno durava sei mesi e la gente tirava la cinghia, ci offre l’occasione per far crescere un intero territorio”.
Certo, non è una sfida semplice quella dell’Alta Langa, e l’esempio plastico arriva dalla storia di chi, su queste terre, ha puntato nonostante le difficoltà, certo di raccoglierne presto i frutti, come Giuseppe Ravasini, con Cascina Bretta Rossa, a Tagliolo Monferrato. “Chi ha la forza di resistere, si ritrova tra le mani un vino dall’altissimo potenziale, specie in un territorio come il nostro, storicamente legato al Dolcetto, che da anni vive difficoltà sul mercato, non garantendo una redditività sufficiente. Ecco allora che virare su Chardonnay e Pinot Nero, e quindi sulla produzione di spumante, diventa un’opportunità economica importante. Con un aspetto peculiare: il livello qualitativo - sottolinea Giuseppe Ravasini - è mediamente molto alto, non ci sono grandi discrepanze tra un produttore e l’altro”. E poi, c’è un aspetto che, nel calice, caratterizza e distingue l’Alta Langa da qualsiasi altra bollicina è invece la sua dimensione gastronomica, il suo legame stretto con la tavola e la tradizione culinaria di Langa. “Mancava una bollicina di qualità, e non poteva che nascere qui, in Alta Langa - racconta la giovane Giovanna Bagnasco, alla guida di Agricola Brandini - dove il vino è sempre stato un complemento della tavola, un alimento. Non nasce certo come aperitivo, tutt’altro: è una bollicina di struttura e carattere, capace di contrastare ed accompagnare la pienezza dei nostri piatti,

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