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Correre della Sera - Divini

Il rosso del Conte Incarna la storia della Sicilia … All’inizio gli impiegati indossavano abiti di velluto con gilet, calzavano stivali alti fino alla coscia e imbracciavano il fucile nelle foto di gruppo ottocentesche. Decenni dopo, il conte Giuseppe girava tra le vigne a cavallo, con il figlio di tre anni in braccio. I primi trattori, marchiati Hanomag, sembravano camion con i cingoli. Si imbottigliava a mano, tutti con il grembiule blu e la colla per le etichette. Nessuno immaginava che quel vino siciliano che arrivava da Regaleali potesse comparire sulla tavola del regista Martin Scorsese, nella casa di Little Italy, ad un pranzo con i genitori e con Robert De Niro. Ecco il baule dei ricordi, tra foto ottocentesche e ritagli di giornali, della famiglia Tasca d’Almerita. Un archivio che racconta la storia di un’isola, di una famiglia e di un vino nato per imitare i francesi e diventato, per uno degli strani giri dei destini delle terre, il primo e più squillante simbolo della Sicilia enoica: il Rosso del Conte. Nerello d’Avola e Perricone, il Rosso del Conte è arrivato alla sua quarantesima edizione. “La vigna si chiama San Lucio, ha 60 anni esatti”, racconta Alberto Tasca d’Almerita, nato 13 anni dopo la messa a dimora delle piante. È alto ed elegante come il padre, Lucio, un giovane ottantenne, ex olimpionico di equitazione (per una cocciuta scelta familiare, da 15 generazioni i maschi di famiglia si chiamano Lucio Giuseppe, Alberto fa eccezione). “A nonno Giuseppe”, spiega Alberto, “piaceva lo Chàteauneuf-du-Pape, il vino delle estati dei Papi ad Avignone. Scelse il vigneto migliore per sfidarli. Dopo anni di studio, nel 1970 era pronto il suo primo Rosso del Conte”. Le nodose piante ad alberello testimoniano della lungimiranza dei Tasca d’Almerita. Mentre tutti usavano la tecnica del tendone per portare in cantina più uva possibile, il conte per il suo rosso fece crescere, negli 8 ettari a 500 metri d’altezza, ogni vite come un piccolo albero, abbattendo la quantità dei frutti ma esaltandone la qualità. “In questi 40 anni”, analizza Alberto, “il vino è mutato, come il modo di farlo nascere: dalle botti di castano a quelle di rovere di Slavonia, fino alle piccole barrique di rovere francese. I muscoli e i toni del legno hanno lasciato il campo all’eleganza”. Tre anni di affinamento, un successo mondiale. È un vino solare ma fresco, contiene lo stesso stupore della sua terra, Regaleali, “caratteri nordici in pieno Sud, colline lussureggianti di verde”. Un vino che incarna la storia della Sicilia, come le foto del baule dei ricordi.

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