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Corriere della Sera

Le bollicine trentine salgono sempre più in alto. Cosi (e con la scienza) si battono caldo e insetti … Oggi a spingere l’innovazione è Trentodoc, che riunisce 65 piccoli produttori, già indirizzati al bio dagli Anni 90, tra cantine sotterranee per refrigerare senza consumare energia e irrigazione a goccia… Da queste parti si sale sempre più in alto. Ma non c’è nessuna vetta da conquistare. Il fatto è che le bollitine spumeggianti in un modo o nell’altro devono pur difendersi dal climate change. E magari a qualcuno verrà pure da ridere al pensiero che, un giorno, i ragazzi di Fridays for Future, potranno manifestare anche per il futuro del Millesimato trentino. Ma c’è poco da scherzare: tra vigneti e colline si fa tutto sul serio. E soprattutto in modo scientifico. E c’è di più: dal momento che le case spumantistiche sono sempre più attive nella tutela dell’ambiente, molte idee pensate in vigna potrebbero essere tranquillamente applicate in altri settori. Si, intorno al Trentodoc, l’istituto di promozione dello spumante trentino, nato nel 1984 e del quale fanno parte 64 cantine, non si smette mai di innovare nel nome della sostenibilità. Una parola che qui, tra i 1.154 ettari dedicati esclusivamente allo spumante ricavato da quattrovitigni (Chardonnay, Pinot nero, Pinot Bianco e Meunier) conoscono da tempi non sospetti: logico, quindi, che, dal 7 al 9 ottobre scorsi, in occasione del primo Trentodoc festival (organizzato da Trentodoc e Trentino Marketing, in collaborazione con il Corriere della Sera) si sia parlato di “Vino, sostenibilità e ambiente”. E sono stati soprattutto i grandi piccoli passi delle cantine trentine degli ultimi vent’anni ad aver metabolirzato la parola sostenibilità. “Sul finire degli Anni 90, con la costruzione della Cittadella del vino, qui, nella Piana Rotaliana. recuperando ben 13 ettari da un’area industriale dismessa, abbiamo fatto un’opera sostenibile: tra cantina di vinificazione, costruzione del PalaRotari (il più grande auditorium del Trentino) e terza linea di imbottigliamento in grado di produrre 17 mila pezzi all’ora”, spiega Luca Rigotti, presidente del Gruppo Mezzocorona, cooperativa formata da 1.500 soci, e il cui fiore all'occhiello è il brand Rotali, lo spumante Trentodoc metodo classico. Qui, a San Michele all’Adige, dove le vigne sono seguite da un pool di agronomi dalla primavera alla vendemmia, non si lascia nulla al caso. Al massimo si sacrifica la parte più alta del grappolo: “Dell’uva rossa: ma solo per eliminare la parte più acida”, aggiunge Rigotti, per il quale la corsa alle vigne di montagna (il 70 per cento del territorio trentino è posto sopra i mille metri) non può fare a meno di unire sostenibilità e qualità della vigna. E per il fenomeno della siccità, la stessa Rosari gestisce le risorse idriche nei vigneti tramite impianti a goccia, secondo l’irrigazione di soccorso”. L’importante è che la campagna sia rivoltata come un calzino: “Nel 2004, abbiamo ricambiato i terreni con la tecnica del rovescio e addio concimazione chimica. Oggi, possiamo dirlo, siamo biologici al cento per cento”, ricorda Roberta Giuriali, fondatrice di Maso Martis, a Martignano, ai piedi del monte Calisio, e le cui vigne, trovandosi a due passi dal bosco, non subendo derive di altre coltivazioni, regalano un “Madame Martis”, brut riserva millesimato, che è sintesi perfetta del progetto “Terra, aria, acqua”, promosso dalle aziende agricole del Biodistretto di Trento, con il supporto del Comune trentino e del Museo delle scienze, per promuovere un’agricoltura più rispettosa della biodiversità. E magari verrebbe da aggiungere: come se ce ne fosse stato bisogno. Perché, prima del 2016, quando l’80 per cento della superficie vitata in Trentino è stata certificata secondo il Sistema di qualità nazionale di produzione integrata (Sqnpi), già all’inizio degli Anni 90 del secolo scorso era stato creato un Protocollo d’intesa, volontario e sottoscritto dai produttori dei diversi comparti agricoli, per ridurre al minimo l’uso delle sostanze chimiche di sintesi. “Poi, col passare degli anni e dei costumi, è arrivata la confusione sessuale”, ricorda, scherzando, Daniele Endrici, dell’azienda Endrizzi, fondata da un suo trisavolo nel 1885, illustrando un metodo che confonde, mediante l’emissione di feromoni, gli insetti dannosi per la vite. “Ma abbiamo fatto di più: portando ai bordi delle vigne dei nidi di pipistrelli per tenere lontani gli insetti dalla vite”, aggiunge il cotitolare di un’azienda che presto vedrà la propria cantina allargarsi di ben 1500 metri quadri: “Per fare spazio al Trentodoc, e refrigerare, per esempio, il nostro Piancastello, in modo naturale, costruiremo una cantina sotto otto metri di terra; mentre sopra pianteremo altre vigne e collocheremo dei pannelli solari”. Ma il Trentodoc non sarebbe sempre più sostenibile senza il Consorzio vini del Trentino: “Cestiamo le uve secondo il disciplinare del Trentodoc, che è sempre più informatizzato. Facciamo da ponte tra le cantine e il ministero delle Politiche agricole”, dice Pietro Patton, presidente del Consorzio (del quale fa parte il 95 per cento della produzione di uva del Trentino), per il quale, la sostenibilità del Trentodoc “È un percorso che non ha mai fine. Come la crescita professionale dei viticoltori”.

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