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Corriere della Sera

Barolo, ora il tappo è di zucchero … Le sorelle Sara e Giovanna Bagnasco, dell'azienda Brandini, sono le prime produttrici italiane del classico vino rosso ad aver scelto un sistema di chiusura diverso dal tradizionale sughero: “Vegetale, a impatto zero, costa la metà”... C’erano i Barolo Boys, ora ci sono le Barolo Sisters. I primi erano innovatori che, usando botti piccole e nuove tecniche in vigna e in cantina, avevano tolto gli spigoli al vino, rendendolo morbido e potente come piaceva agli americani. Si attirarono invettive e scomuniche dai tradizionalisti. E oggi anche le Barolo Sisters potrebbero essere accusate di modernismo. Sono state, infatti, le prime a sbarazzarsi di un’icona per i grandi rossi italiani: il tappo di sughero. L’hanno sostituito con un tappo a base di canna da zucchero. Il vantaggio: si elimina del tutto il rischio di dover buttare via il vino al gusto di tappo a causa della Tca, la molecola trasportata da un fungo che a volte si annida nei sugheri, mettendo a repentaglio intere produzioni. Dietro al primo Barolo sughero-free, dunque, ci sono Serena e Giovanna Bagnasco, 23 e 26 anni, dell’azienda agricola Brandini di La Morra. Il proprietario è il padre Pietro, socio di Oscar Farinetti e amministratore delegato di Fontanafredda, la storica tenuta di Serralunga d’Alba che appartiene al fondatore di Eataly. “Nel 2007 - raccontano le Bagnasco Sisters - la nostra famiglia ha acquistato i quattro ettari dell’azienda di La Morra che, prima di noi, vendeva solo vino sfuso. Abbiamo semplicemente pensato che non serve essere vecchi, non è necessario avere 500 anni di storia per produrre un buon vino. E che c’è bisogno di stare più al passo con i tempi. Così abbiamo deciso di eliminare il tradizionale tappo per il Barolo. Ora usiamo un tappo vegetale (del marchio Nomacorc Green Line) che assomiglia molto a quello classico. È a impatto ambientale zero. Una scelta etica ed economica”. Fino a poco tempo fa il tappo alternativo era sinonimo di vini di scarsa qualità e per la grande distribuzione. Non è più così: decine di importanti vini italiani si presentano, ad esempio, con il tappo a vite. Ed ora il tappo allo zucchero per il Barolo apre una frontiera completamente nuova. Tutto è cominciato qualche anno fa per colpa di un disastro, il caso del Barolo Cerretta. “A causa di una partita di sugheri difettosi - racconta Pietro Bagnasco - abbiamo dovuto buttare via 2.000 bottiglie su 5.000. Ora invece è sparita l’ansia ad ogni apertura di bottiglia. Spendiamo la metà. E, soprattutto, non ci sono sorprese”. La Brandini è stata fondata nel 1985. È biologica, ha 15 ettari di viti tra La Morra e Serralunga, 40 mila le bottiglie tra Barolo, Barbera, Dolcetto, Nebbiolo e tre bianchi (spicca Le Cocinelle a base di Arneis). L’enologo è Beppe Caviola, non a caso uno dei vignaioli ribelli per i quali il New York Times nel 1990 coniò il nome Barolo Boys. Sotto lo sguardo vigile di Filippo Peroni, direttore per il Sud-Est Europa di Vinvention, il colosso dei tappi (una bottiglia su sette al mondo ha un loro sigillo, possiede il marchio Nomacorc), Giovanna Bagnasco spiega quasi sottovoce la sua rivoluzione formato tappo: “Siamo stati i primi a rompere la tradizione secolare del sughero sul Barolo. Lo abbiamo fatto per garantire che chi acquista una nostra bottiglia la riceva come è stata pensata”. “La novità - assicura Peroni - è che un gruppo di cantine nel mondo con rossi importanti sta scegliendo questa soluzione. Questo tappo ha sei punti d’ingresso per l’ossigeno. Permette dunque, attraverso analisi periodiche, di controllare l’effetto sul vino e quindi di prevederne l’evoluzione per decenni. E non ha nulla a che vedere con i tappi sintetici,che contengono colle, ermetici e sulfurei”. L’esperimento delle Barolo Sisters è iniziato nel 2014. Il primo risultato è stato presentato al Vinitaly 2017, con il Barolo “base”. Stesso trattamento per gli altri, i cru Annunziata, Meriate e Cerretta e il Resa56, il più noto dei Barolo di Brandini. È il figlio di un temporale: nel 2010 la grandine decima i grappoli, rimangono solo 56 quintali per ettaro invece dei consueti 80. Bagnasco scopre che il meno è meglio, il vino è denso e scattante. Da allora la resa è la stessa, a quota 56. Con il sigillo allo zucchero delle Barolo Sisters.

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