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Corriere della Sera

Chiara Lungarotti … Ad del Gruppo di Torgiano, ha un sogno: “Un nuovo distretto del vino in Umbria”. Puntando sullo spirito francescano del luogo: “Prima schivo, poi esplode in bocca”. Come I suoi rossi… Il passaggio generazionale lo ricorda ancora come “molto cruento”: “Avevo 27 anni, mio padre Giorgio mi aveva cresciuta tra le vigne e insegnato tantissimo. Era stato un pioniere: aveva capito l’importanza della viticoltura di precisione e della filiera, oltre ad aver modernizzato le condizioni di lavoro, portando i mezzadri a diventare dipendenti salariati. Però l’azienda era fatta a sua misura: padronale, e negli ultimi anni orientata più sul vigneto che sul mercato. Io volevo riportarla alla posizione che meritava, farla crescere dentro e fuori l’Italia. Non è stato facile, ma poi ho trovato una sintesi: continuare a far parlare la nostra terra nel vino, come aveva fatto mio padre sin dal 1962 con il Rubesco, ancora oggi il nostro prodotto più diffuso nel mondo (un uvaggio di Sangiovese e Colorino, che nel 1968 portò all’Umbria la Doc Rosso di Torgiano, ndr). E dall’altro lato rendere più efficiente l’organizzazione, dividendo le aree: enologia, agronomia, direzione commerciale, marketing e comunicazione (in mano alla sorella Maria Teresa Severini, ndr). Ciascuna con la propria responsabilità e i propri obiettivi”. Chiara Lungarotti, dal 1999 amministratrice delegata di una delle più importanti cantine umbre, quando ancora le donne in posizioni simili erano poche, “e soprattutto erano poche le ambasciatrici del bere italiano, cioè persone come me che hanno viaggiato in lungo e in largo a raccontare il nostro Paese”, dirige non solo due tenute — oltre a Torgiano, Montefalco — ma un vero e proprio “sistema del vino”. Nel 1974 sua madre Maria Grazia creò, infatti, il primo Museo del vino italiano, nel 1987 arrivò la Fondazione Lungarotti, con l’obiettivo di valorizzare e promuovere l’economia agricola italiana, e nel Duemila il Museo dell’olivo e dell’olio. “La nostra relazione con il territorio è fortissima, e credo sia il segreto del successo dei nostri vini. Poter raccontare la storia di una famiglia, le tradizioni e le generazioni che si sono susseguite dietro una bottiglia, è la vera chiave di volta per noi e per tante altre aziende del nostro Paese”. Attualmente Lungarotti, con 250 ettari di vigneto, 29 etichette e 2,5 milioni di bottiglie per metà vendute nel mercato interno e per metà tra Stati Uniti, Canada, Svizzera, Germania, Nord Europa, Giappone e con risultati interessanti anche in Corea del Sud, Thailandia e Brasile, punta su diverse leve: biologico (a Montefalco, mentre Torgiano è certificata Viva), sostenibilità (ambientale, economica e soprattutto sociale), enoturismo. Ma come si guarda avanti, in tempi così incerti? “Bisogna avere capacità di reazione, elasticità. Adattarsi. Al cambiamento climatico, alle richieste del mercato, alla tecnologia. Sempre mantenendo un centro indiscutibile: lo spirito francescano dell’Umbria, riservata e rigorosa, come i nostri rossi. Al primo sorso sono schivi, poi esplodono in bocca”. Se Chiara Lungarotti ha un sogno, infatti, è quello di far conoscere la sua regione all’estero come distretto del vino: “È una terra profondamente vocata, non solo a Torgiano e Montefalco”. Umbria, la nuova Toscana?

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