02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Corriere della Sera

Sandro Boscaini. Masi, aziende “in cantina” & aggregazioni amichevoli. Milano e Venezia ? Perche no … Il presidente del gruppo che ha reinventato il grande rosso della Valpolicella racconta piani e strategie dopo la trimestrale migliore di sempre. Rosso? Non siamo scalabili… Sandro Boscaini non è uomo da nascondere la polvere sotto il tappeto. E dunque non ha remore nel rispondere subito sulla contesa tra lui, Mister Amarone, e un altro campione del Triveneto, Renzo Rosso: “L’M&A tanto per fare è facile e nel mondo c’è di tutto. Però non basta dire “compriamo”. Bisogna avere delle strategie compatibili. In Masi la maggioranza ha la sua strategia per crescere. Del resto, lo facciamo da più di 250 anni” Boscaini sintetizza in questi termini il confronto con Mister Diesel. Il nocciolo è stato: come crescere? Rosso vuole costruire un polo del lusso. A febbraio ha costituito “Brave Wine”, la scatola per il suo rosso di Marostica, per la partecipazione nella siciliana Benanti e nella Josetta Saffirio (Langhe). Il patron di Diesel attraverso Red Circle Investments era entrato nel ‘20, in piena pandemia, nel capitale di Masi Agricola con il 5% — è quotata dal 2015 sul’Aim, ora Euronext Growth Milan, ed è l’unica azienda di vini premium del settore —. In poco meno di 24 mesi Rosso è salito al io per cento. La famiglia Boscaini l’ha visto arrivare sul mercato, poi a metà dello scorso anno ha rinnovato e reso più stringente il patto sul 75% che lega Sandro ai fratelli Bruno e Mano. Strada chiusa. (L’aveva riconosciuto l’industriale della moda tre anni fa: “Sandro Boscaini è eccezionale, ha freschezza e velocità mentale veramente rara”). La scalatina di Rosso è finita con accuse sulla govemance, respinte al mittente, le dimissioni dal board, sostituito dalla moglie Arianna Alessi, e l’addio del presidente dei sindaci, Cristiano Agogliati, eletto nella lista di ‘minoranza dei Rosso. Al Gazzettino, qualche settimana fa, Boscaini l’aveva detto chiaro: “Chi vuole stare con noi deve capire che viene in un ambiente che ha già una sua linea ed è evidente che non possiamo essere scalati. Non abbiamo mai ceduto una delle nostre quote, il fondo Alcedo a suo tempo entrò con un aumento di capitale. Oggi abbiamo un migliaio di piccoli azionisti, molti dall’estero. E poi c’è l’Enpaia, che pochi giorni fa ha portato la sua quota dal 5% al 6% comprando sul mercato”. (en passant, con il Masi Investor Club, il gruppo è entrato nella categoria degli emittenti di titoli diffusi) . Detto della baruffa veneta, Boscaini —ha appena presentato una trimestrale coi fiocchi e vedremo poi perché, ma basta considerare che i ricavi sono in crescita del 30% sul 2019, prima del Covid — non si sottrae al tema di fondo dell’intero pianeta del vino made in Italy: come fa a crescere un sistema e delle imprese spesso piccole e frammentate, con margini ancora ridotti rispetto ai concorrenti, come puntualmente segnala R&S Mediobanca, e migliaia di referenze e varietà di vino, 32 mila codici diversi, per dare un numero-monstre? Il modello Masi è quello delle “aggregazione amichevoli”, ricorda il Patriarca, sostenuto dal suo amministratore delegato, Federico Girotto. Il quale rincara, ricordando le “linee prodotto create in casa”, (o meglio, in cantina) che a fianco della strategia di omnicanalità e avvicinamento diretto ai clienti (e turisti) spingono ricavi, margini e utili mettendoli al riparo nelle fasi incerte come l’attuale. Senza perdere grip sul mercato, affrontato in oltre io Paesi nel mondo ai quali è destinato più del 75% del vino prodotto. “Certo che ci guardiamo intorno — ribadisce Boscaini — ma il nostro modello è Canevel, rilevata qualche anno fa, che da quando è con noi ha raddoppiato il fatturato e con la sua “identità prosecchista” è distribuito oggi in più di zio Paesi rispetto alla pressoché totale vendita in Italia nel momento dell’acquisto. Perché l’idea è: simili con simili. E ce ne sono, ma mica tanti disponibili ad aggregarsi. Lo abbiamo fatto in precedenza per i marchi Bossi Fedrigotti e Serego Alighieri”. Marchi all’altezza, dunque, e non per una questione di blasone, ma perché sulla strategia policentrica e premium Masi ha costruito i suoi successi. I risultati si sono visti nei numeri, nell’ultimo esercizio come nella trimestrale. Loro la chiamano la “botticella” ( è riprodotta nel grafico in pagina) e mostra come rispetto al consueto “blend” aziendale, che storicamente vede la ripartizione Top-Premium-Classic Wines attestarsi su livelli medi pari a 25%-50%-25%, i conti del 2022 come anche del primo trimestre mostrano una crescita della componente premium: i top wines sono al momento il 30% del fatturato, come hanno segnalato gli analisti di Equita che dopo “il miglior trimestre di sempre” lasciano stime e target invariati sul titolo, ma evidenziano spazi di crescita dei ricavi e del fatturato. Anche perché si vedranno nel corso dell’esercizio gli effetti delle “politiche di repricing a doppia cifra” segnalate da Girotto. L’aumento dei listini, insieme alla forza del canale horeca (hotel, bar, ristoranti) continuano a bilanciare la debolezza dell’off trade, ossia di grande distribuzione e retail per i quali le previsioni, per il vino come per altri settori, sono incerte per la seconda metà dell’anno. In un mare incerto, e tenendo ferma la barra sull’idea di tenere vicini marchio e consumatori, a Boscaini e Gli/otto brillano gli occhi dinanzi all’ultima provocazione: perché, se i Masi Wine Bar da Cortina al Lago di Garda fino alla Maximilianstrasse di Monaco, danno tanta soddisfazione non c’è ancora una boutique dell’amarone a Milano? “Milano e Venezia — spiega Boscaini — sono la nostra aspirazione, ma va fatta perbene. Nel posto giusto e con il giusto partner. Lo scouting è, senza premura, sempre in corso”. Perché alla fine, nelle aziende come in montagna, servono passi lunghi e ben distesi. Mister Amarone nel suo libro per le 250 vendemipie (“Amarone e oltre”, Egea editrice) ha messo bene in chiaro l’orizzonte ampio della casa vinicola e della famiglia. Ha ricordato, per esempio, che alla fine del ‘21 una missione della Statale di Milano con la Sovrintendenza di Verona ha accertato nel sito preistorico alle Colombare di Negrar, attiguo ai tenimenti Masi, la presenza di resti d’uva di 6.300 anni fa. “Ora gli archeologi sono alla ricerca delle prove del suo utilizzo per produrre l’antenato dell’Amarone”, ha scritto. Poi ha aggiunto che in famiglia è da poco arrivato un nipotino, il primo della nona generazione dei Boscaini. Si chiama Sandro Junior.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su