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Corriere della Sera

Brand, Storia & ospitalità. Modello Umani Ronchi … Michele Berretti è l’imprenditore che ha portato i vini marchigiani nel mondo. Guida Umani Ronchi, griffe del vino tricolore, già tra le “top 34” cantine italiane selezionate dalla rivista Wine Spectator, ma anche una delle 18 grandi famiglie dell’enologia nostrana, insieme ad Antinori, Tasca d’Almerita, Masi, Ca’ del Bosco, solo per citarne alcune, riunite nell’Istituto italiano del vino di qualità. L’azienda ha anche vinto il premio di Unicredit e Nomisma dedicato ai “Best Ambassador” delle etichette italiane. Missione, questa di ambasciatori internazionali, che deve molto al successo dei vini storici del territorio dove Umani Ronchi è nata e cresciuta: le colline del Verdicchio, il Conero e l’Abruzzo, dove produce il Montepulciano. E che ben si integra con i progetti di hospitality dell’azienda, che dal 2015 ha preso in gestione e restaurato il Grand Hotel Palace di Ancona e ha poi aperto, adiacente, un wine bistrot, oltre a proporre visite esperienziali che partono da Villa Bianchi, la dimora di famiglia. Il legame con il territorio è risorsa preziosa, Bernetti lo sa ed è da questa consapevolezza che la casa vinicola di Osimo (Ancona) organizza il consolidamento e lo sviluppo, partendo dai risultati del 2022: 3,2 milioni di bottiglie prodotte, il 6596 circa vendute all’estero in 6o Paesi, 15,5 milioni i ricavi, in crescita del 696. “Il 2023 è iniziato in leggero calo per il mercato del vino, è un trend che coinvolge in primis i rossi, mentre bianchi e spumanti sono stabili”, spiega Bernetti, che ricopre i ruoli di ceo e presidente. L’imprenditore è la terza generazione della famiglia: il nonno materno fu all’origine dell’azienda, quando rilevò la cantina dal fondatore Gino Umani Ronchi nel 1968, mentre il padre Massimo, che oggi non ha più ruoli operativi, ne ha spinto lo sviluppo e una prima fase di intemazionalizzazione. “Noi abbiamo il segno più anche in questi primi mesi dell’anno, siamo cresciuti nel mercato interno, l'export è saldo dal Nord Europa agli Usa e Canada, fino al Giappone, dove in passato abbiamo aperto anche tre ristoranti con il brand Villa Bianchi, e alla Corea del Sud. I prezzi? Li abbiamo ritoccati quest’anno, nella media del settore, un aumento dovuto al costo delle materie prime come il vetro, che però dovrebbe rientrare nel corso dei mesi”. Quelli di Umani Ronchi sono vini di fascia alta, 1’85% delle bottiglie sono destinate al canale horeca, ovvero ristorazione, enoteche e bottiglierie. L’imprenditorè non teme un calo dei consumi, anzi rilancia con una nuova etichetta. “Ha appena debuttato un prodotto di nicchia in tiratura limitata, il Verdicchio Vecchie Vigne Historical, che arriva dopo cinque anni dalla vendemmia e 6o mesi di affinamento, prodotto da vigneti che hanno oltre cinquant’anni”, spiega Bernetti. Historical racconta molto della filosofia che muove Umani Ronchi. “È un vino che alza il percepito non solo della nostra azienda — spiega Bernetti — ma di tutto il territorio. Aggiunge valore a un brand già riconosciuto: questo è il nostro obiettivo, e siamo anche convinti che sia il modo giusto per stimolare il turismo legato al vino, che nelle Marche è solo all’inizio ». Un circolo virtuoso, che si alimenterà di ulteriori progetti, comme la costruzione di una cantina in Abruzzo, per creare un ponte ideale con le iniziative di urine experience già testate nelle Marche e perché no, anticipa Bernetti, “la valorizzazione, sempre in quest’ottica, di altre proprietà della famiglia sparse nella campagna marchigiana”. La famiglia è un altro importante tas-sello del puzzle che ha portato Umani Ronchi a diventare una delle più longeve presenze al Vinitaly, 55 in tutto. La maggioranza dell’azienda è in mano al ceo e presidente, il resto delle quote sono della sorella Roberta e della madre Annalisa. “Stiamo aprendo il consiglicrdi amministrazione ad alcuni membri esterni — dice Bernetti. È il momento giusto per farlo, tenendo presente che la famiglia resterà il motore e il cuore di Umani Ronchi. Nel nostro settore le famiglie sono importanti, garantiscono continuità e connessione con la società agricola, con il territorio: anche questo è un valore aggiunto che il mercato premia, soprattutto per un settore che ha ritorni molto lenti quando ci si impegna nella qualità”. Tempi lunghi, piani lunghi, crescita controllata sono un mantra per Bernetti. Eppure, le case italiane sono state di recente al centro di una serie di aggregazioni che stanno cambiando il volto del settore. “Sono d’accordo con quanto detto da Sandro Boscaini sulle vostre pagine : si tratta di operazioni che si concentrano sulla fase finale della filiera e riguardono strutture “leggere” che più che obbiettivi di qualità si aspettano ritorni veloci. Non è il nostro modello. Non abbiamo nemmeno piani per uscire dal territorio in cui già operiamo. Abbiamo già innovato con gli spumanti, dal 2oo8, e anche con il rosato, prodotto con uve di Montepulciano”. Un’ultima tessera è la sostenibilità. Anche qui, cammino e obiettivi a lungo termine: l’azienda agricola è biologica al 100965 un percorso iniziato nel 2000, dopo l’acquisizione di una proprietà in Abruzzo. “Abbiamo ottenuto la certificazione Equalitas Corporate e siamo impegnati in alcuni progetti con le università, come quello con la Politecnica delle Marche che si chiama “Go Vide — dice l’imprenditore —, per controllare l’efficacia dell’irrigazione dei vigneti con la tecnologi”. Lungo questo percorso sono arrivati anche i tappi sintetici prodotti dalla canna da zucchero, riciclabili al 100% il recupero delle acque di cantina per l’energia da fotovoltaico, l’utilizzo di vetro più sottile. “Le ultime piogge ci hanno messo sotto stress, e abbiamo fatto un grande lavoro per preservare le piante — conclude Bernetti—. È chiaro che il cambiamento climatico modifica il modo di lavorare la vigna, ma siamo in un territorio di mezzo, dove anche gli impatti arrivano mitigati, e questo ci favorisce”. Ancora una volta, la chiave è li: nel territorio.

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