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Corriere della Sera

I vini della Croazia potenti come la bora. Con una finestra sotto il mare … A volte i vini che nascono dal Mediterraneo sembrano uno solo, come il mare. Perché “Il Mediterraneo è a un tempo simile e in altro diverso a sé stesso”, dice lo scrittore croato Predag Matvejević. Attraversato l’Adriatico, ecco l’isola dalmata di Hvar, pietre lucenti e leoni di San Marco, yacht con elicottero e taxi boat per le spiagge, ovunque cartelli che offrono Prošek, un vino da dessert, estraneo al Prosecco. Come tutta la Croazia, anche Hvar è uno scrigno di vitigni autoctoni. I vignaioli croati non sono (per ora) nel Pantheon degli appassionati. Ma dopo le guerre che hanno scosso e ridisegnato i Balcani, un gruppo di produttori ha impresso una svolta. Con vini che hanno in comune il carattere, e talvolta anche il Dna, con quelli di altre zone del nostro mare. A Hvar il pioniere del nuovo vino è stato Zlatan Plenkovi. Zlatan è stato il miglior enologo croato, è morto due anni fa, a 68 anni. L’azienda si chiama Zlatan Otok, a Sveta Nedjelja, borgo di pescatori a mezz’ora dalla mondanità: silenzio, campanili sulle colline ripide e vigne tra muretti a secco. “La nostra storia è iniziata davvero quando si è dissolta la ex Jugoslavia, negli anni Novanta”, racconta il biondo e massiccio Nikola, che con Marin e Antonia guida la cantina. “Papà ha iniziato con piccole quantità di vino per gli ospiti. Poi ha comprato le uve dei vicini, si è indebitato, ha rischiato”. Quando una genetista americana ha scoperto che il rosso californiano Zinfandel (con lo stesso Dna del nostro Primitivo pugliese) è nato in Croazia, dove è chiamato Crljenak o Tribidrag, il vignaiolo lo ha ripiantato a Hvar. Da allora è stato salvato dall’estinzione. “Papà ci ha insegnato a ricavare poca uva, talvolta solo mezzo chilo, per pianta. Così i nostri rossi sono concentrati”, spiega Nikola versando il Gran Cru, il più noto dei suoi vini, scuro e intenso, nella versione 2010 con una potenza stordente, come un vento di bora carico di frutti e spezie. È un Plavac Mali (il rosso dalmata) di alta collina. Con le stesse uva, ma dalla pianura, Nikola ottiene un fresco rosato, l’Opol, color Aperol. E un bianco che affascina per il profumo di fichi, il Pošip. “Ora produciamo 600 mila bottiglie, grazie a terreni anche in terraferma ed esportiamo in tutta Europa e anche negli Stati Uniti”, dice soddisfatto Nikola, a Bilo Idro, il suo ristorante in pietra d’Istria (imperdibile il brodetto, gregada), con i tavoli che sfiorano le barche di un porticciolo e una finestra in cantina dove si scorgono vecchie anfore tra i pesci. Il Mediterraneo in bottiglia, “simile e diverso a sé stesso”, ricomincia da qui.

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