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Corriere della Sera

La sfida delle bollicine. Schei? Il Prosecco impari dalla Francia … Lo sparkling italiano vende in quantità più del doppio dello champagne. Ma incassa la metà... La via del prodotto di massa non è remunerativa: meglio cambiare la strategia dei prezzi bassi... L’ultimo sprint del Prosecco è in Gran Bretagna, terra promessa dei rivali francesi. Se le previsioni saranno confermate, le bollicine del Nordest batteranno lo Champagne non solo per quantità venduta ma anche per incassi. Un primato fondato sugli “schei” e non solo sul mare di Prosecco che inonda il mondo, più di 550 milioni di bottiglie, tra Doc (Veneto e Friuli-Venezia Giulia) e Docg (Conegliano-Valdobbiadene e Asolo-Montello). Le magnifiche sorti e progressive dell’export del vino italiano quest’anno hanno rischiato una battuta d’arresto. I dati del Wine Monitor di Nomisma, diffusi nella due giorni di Verona dedicati al business (nel Wine2Wine organizzato da Vinitaly) sono chiari: fatturato più alto, a quota 6,2 miliardi, +3,8% sul 2017. Ma fuori dai confini nazionali si beve meno il nostro vino: alle dogane si è registrata una flessione del 9%. Con un calo quasi uniforme sui vini fermi (dal -1,9% degli Usa al -4,6 del Giappone). Certamente la colpa è della vendemmia 2017, la più disgraziata dal dopoguerra, un susseguirsi di gelate e grandinate. Ma da più parti si avverte un raffreddamento degli entusiasmi per i nostri bianchi e i nostri rossi, anche in Germania, con un calo superiore al 4%. “Un paradosso - riflette Giovanni Mantovani, direttore di VeronaFiere - cambiano i poli d’attrazione del vino, proprio mentre le nostre bottiglie stanno conquistando le classifiche mondiali”. Il riferimento è al Sassicaia, appena proclamato miglior vino al mondo dagli americani di “Wine Spectator”. Una boccata d’ossigeno è venuta dal sistema Prosecco che continua la marcia trionfale. Attira investimenti anche americani, come si è visto la scorsa settimana: Ruffino (gruppo Constellation) ha investito 30 milioni per acquistare 144 ettari di Glera (il vitigno del Prosecco) tra Venezia e Treviso, dalla famiglia Botter. Ma la disparità con la Francia è evidente, nei dati che Denis Pantini di Nomisma ha illustrato a Verona. Nel 2018 da Oltralpe saranno esportati 1.917 mila ettolitri di spumanti, con un aumento del 4,4%. Dall’Italia partirà una quantità doppia, 3.994 mila ettolitri: doppia anche la crescita, 8,9%. Ma quanto a valore, il confronto tra i due pianeti di bollicine ci vede perdenti: l’Italia incasserà 1.583 milioni per gli spumanti (+16,3%). I france-si fatturano il doppio con una quantità dimezzata: 3.249 milioni, +4%. Gli spumanti quindi salvano il Belpaese del vino. Ma perché non riescono a far decollare il bilancio della cantina Italia, imboccando la via francese, quella dei prezzi più alti? Giancarlo Moretti Polegato, patron di Villa Sandi, sulla linea del Piave (le bottiglie si affinano lungo i cunicoli della Grande Guerra, sotto la sua di-mora palladiana a Crocetta del Montello), vede rosa (o forse rosé, come il colore del nuovo Prosecco che il Consorzio Doc fra poco farà decollare). “Nove anni fa, quando è nato la Doc estesa, il Prosecco base, venduto sfaso dai produttori a chi imbottiglia, quotava un euro - dice -. Ora siamo a 2. E i vini Docg sono saliti da 2 a 3 euro. È vero che abbiamo raddoppiato i volumi. Ma anche il prezzo. Quello iniziato nel 2009 è un miracolo. Di questo passo potremo avvicinarci ai francesi. Il dato in arrivo sulla Gran Bretagna lo conferma. Ovvio, il prezzo medio è molto inferiore a quello di uno Champagne”. Il confronto è impossibile. Diversa la maniera di produrlo: quella veloce, con le autoclavi, del Prosecco pronto poco dopo la vendemmia, è inferiore nei costi (e nella complessità del vino), dello Champagne e di tutti i Metodo classico che nascono con una procedura lenta e artigianale, e da affinamenti che possono superare anche i 10 anni. “Vero - sostiene Polegato - però noi siamo cresciuti tantissimo. E non mi pare di aver visto incrementi simili dei francesi, forse anche per l’effetto della nostra ascesa”. Più impetuosa nei vigneti Doc. Per i vini di Conegliano-Valdobbiadene la stima è di una crescita dell’1,7%, sfiorando e i 93 milioni di bottiglie. Poco distante da Villa Sandi, in una zona dove fino a qualche decennio fa si vedevano solo viti di un rosso rude e autentico come il Raboso, un giovane vignaiolo come Simone Cecchetto (Ca’ di Rajo, 500 mila bottiglie di Prosecco l’anno a San Polo di Nave) è convinto che la strada da seguire sia sempre più quella battuta da un secolo dai francesi: prezzi più alti e qualità in crescita, superando la linea della produzione di massa. “La Doc chiuderà il 2018 con una produzione in aumento del 6%. C’è un dato clamoroso: in ottobre siamo saliti del 18%. Certo, Il Prosecco è un vino del popolo. Le indagini di mercato ci dicono che è vincente non per il prezzo ma per la piacevolezza, è l’emblema dello stile di vita italiano. Per questo bisogna venderlo meglio”. E se i tedeschi hanno rallentato gli acquisti delle bollicine italiane, c’è un mondo che si disseta sempre più con i nostri spumanti. In testa gli Stati Uniti, che spendono 386 milioni di euro (+15%), poi i britannici con 345 milioni (+12,6%) e i russi con 92 milioni (+10,2). Il futuro? “Continuerà il successo degli sparkling tricolori - prevede Pantini -. Il Prosecco farà da traino all’export e crescerà in nuovi mercati, come l’Australia la Polonia”. Con sprint da far invidia ai francesi.

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