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Corriere della Sera

“Metto all’asta i miei vini” … Pinchiorri cede 2.250 bottiglie di grande pregio. “Il virus ha fermato il turismo e mi ha fatto paura . Ora con gli introiti pagherò le ferie dei dipendenti”... Tutto è cominciato con una cena. All’“Enoteca Pinchiorri”, naturalmente. Era il maggio 2019 quando l’amministratore delegato della casa d’aste americana specializzata in vino Zachys, Don Zacharia, ha proposto al patron del ristorante fiorentino tre stelle Michelin la vendita di alcune delle sue bottiglie più speciali. Il risultato è che il prossimo 12 settembre Zachys debutterà con la sua prima asta europea — a Londra — totalmente dedicata ai vini di Giorgio Pinchiorri: 2.250 bottiglie (divise in 864 lotti) italiane e francesi per un valore base di 2 milioni di euro. Sul podio delle più costose tre lotti d’Oltralpe: due magnum di Vosne-Romanée Cros-Parantoux Reserve Henri Jayer 1999 (base d’asta 60 mila sterline, circa 66 mila euro), due bottiglie di Romanée-Conti Domaine de la Romanée-Conti 1990 (da 24 mila sterline, cioè circa 26 mila euro), sei di Pétrus 1961 (da 30 mila sterline, circa 33 mila euro). Tutti grandi vini rossi, tra la Borgogna e Bordeaux. Pinchiorri, ha una cantina monumentale, 60 mila bottiglie, acquistate in oltre 50 anni. Di aste non ne ha fatte tante. Come è nata questa? “Non era la prima volta che Zachys ci contattava. E sì, finora di aste ne ho fatta una soltanto, anni fa, con Sotheby’s. Non eravamo stati molto contenti del risultato. Quella sera con Don però la trattativa non è stata lunga, io e lui siamo amici da tempo. Abbiamo deciso che le referenze sarebbero state circa duemila, e che l’asta sarebbe stata dedicata a noi. Doveva svolgersi a marzo, ma con il coronavirus è slittato tutto”. Ora la data si avvicina. I proventi capitano in un momento propizio, dato che il virus sta colpendo duramente i ristoranti. Vi aiuteranno a limitare i danni? “Stiamo patendo come tutti, abbiamo patito e patiremo. Noi facevamo ogni giorno tra i sette e i dieci tavoli di clienti degli alberghi. Oggi a Firenze il turismo è fermo, tanti hotel non hanno nemmeno riaperto. Abbiamo scelto di tenere il ristorante attivo tre giorni a settimana, da giovedì a sabato. Devo dire che siamo comunque contenti, ringrazio i clienti che sono venuti subito a sostenerci. Certo, in questa situazione i proventi dell’asta aiuteranno. Ma sa come? Voglio fare una cosa per i miei dipendenti”. E cioè? “Sono 51, molti lavorano con me da dieci, 15 anni. Hanno accumulato 30, 40, 50 giorni di ferie. Indipendentemente da come andrà l’asta, la prima cosa che farò sarà liquidare quegli arretrati nella busta paga di dicembre. E quel che avanza, se avanza, si userà per ristorante e cantina. Avevo già acquistato partite di vino molto importanti, alcune saldate altre da pagare. Questi soldi ci aiuteranno anche nel 2021, perché la crisi ci stangherà almeno per i primi sei mesi”. Ha temuto di ammalarsi? “Sì. La settimana di Pasqua ho mangiato pane e formaggio perché non avevo voglia di andare in giro a fare acquisti. Ho perso amici, parenti, clienti per questo virus. Pensiamo anche solo al ristoratore che si è tolto la vita pochi giorni fa perché temeva di non riuscire a pagare i debiti del locale. Era un amico, gli dicevo “vengo a mangiare un’insalata e una bistecca” e lui me le faceva trovare. Le cose gravi sono queste. Quando mi preoccupo penso che sì, abbiamo patito, ma siamo vivi. I soldi prima o poi ricrescono, come le unghie”. Anche il 2019 è stato complicato. Una sua ex dipendente l’ha denunciata per stalking. “Io sono tranquillo, quel caso è stato montato. Lo dimostrerò in tribunale se ci si arriverà”. È vero che imballando le bottiglie per quest’asta le ha baciate e ha pianto? “Sì, per me sono figli che non ci saranno più. Ma faranno felici altri. E in cantina ne sono rimaste ancora di quei produttori. Per far felice anche chi viene”. Alessandra Dal Monte

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