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Corriere della Sera - Cook

Lamole, il potere (vibrante) del territorio … Suolo roccioso ma drenante. Vento, luce e altitudine. Sul cocuzzolo del Chianti Classico, l’azienda di vini Santa Margherita ha investito in pazienza e buona agricoltura. Così, oggi, la tenuta toscana della famiglia Marzotto è certificata bio in tutte le referenze. Ed è pronta la nuova Gran Selezione: “Vigna Grospoli 2018”… Le “lame” che danno il nome al borgo di Lamole sono gradoni di roccia ricchi di sostanze minerali. Un mix di arenaria, galestro e alberese che costringe le radici delle vigne a incunearsi fin da subito in profondità, in cerca di acqua e nutrienti. Questa discesa verticale la si ritrova, poi, anche nel vino: complesso, elegante, balsamico. In una parola, vibrante. Fino a trent’anni fa quasi nessuno credeva in questo minuscolo paesino sul cucuzzolo del Chianti Classico: vigneti tra i 400 e i 700 metri d’altitudine, un terreno sì drenante ma anche duro, una specie di “isola pietrosa” in mezzo all’argilla del resto della denominazione. Nel tempo una decina di produttori ha scommesso su questo posto speciale. Tra cui Santa Margherita Gruppo Vinicolo, l’azienda della famiglia Marzotto che nel 1993 ha acquisito una tenuta, “Lamole di Lamole”. “L’idea, qui — racconta il presidente Gaetano Marzotto — è sempre stata quella di investire sulla qualità. Mio zio Paolo propose a me e ai miei fratelli questo progetto quando non c’era niente: le vigne erano distrutte e non esisteva una vera e propria produzione di vino. Era rimasto affascinato dal territorio, così come noi quando lo abbiamo visto: è un luogo magico. Abbiamo accettato la sfida, sapendo che sarebbe stato un progetto a lunghissimo ritorno. Ecco, a distanza di trent’anni stiamo raccogliendo grandi risultati”. Prima di tutto, sul fronte della sostenibilità: la riconversione a biologico dei terreni, avviata nel 2005, ha portato ad avere, da quest’anno, la certificazione bio ministeriale per tutte le referenze (sei, più il Vin Santo). “Ma le buone pratiche messe in campo negli anni vanno ben oltre: abbiamo fatto in modo di custodire il territorio — spiega Andrea Daldin, enologo della cantina dal 1993 —. Nei 40 ettari della tenuta abbiamo ricostruito i vecchi terrazzamenti, eliminato completamente i prodotti di sintesi e ricreato la biodiversità del paesaggio”. Le uve sono trattate con olio di arancio, alghe, propoli e aloe per evitare i funghi. Il compost organico —fatto con i raspi, fermentati per due anni — viene usato per fertilizzare al post dei preparati chimici. Le ore di lavoro manual nel vigneto sono aumentate. E ora si investe sull’agricoltura di precisione. L’obiettivo ? “Rendere le viti capaci di affrontare, senza aiuti esterni, sia le malattie che il clima. E avere un vino che rappresenti al cento per cento il territorio”. Come l’ultimo nato, il Chianti Classico Docg Gran Selezione “Vigna Grospoli” 2018, appena presentato e già premiato dale guide: uve Sangiovese cultivate tra I 540 e I 580 metri di altitudine in un singolo vigneto, un cru d’altura esposto alla luce e al vento.. Il vino, affinato per tre anni (due in legno e uno in vetro), ha freschezza e struttura, mineralità e potenza. “Ricorda le rocce, il bosco, i frutti di rovo — spiega Daldin —. La quintessenza di Lamole”. Inoltre, tutte le etichette sono state rinnovate, sia nella grafica sia nel naming: “Una scelta strategica per rendere sempre più riconoscibile la cantina”, spiega l’ad Beniamino Garofalo. Poco distante, a Greve in Chianti, il gruppo ha aperto anche “Vitique”, ristorante di fine dining in un territorio di cucina casereccia, con ai fornelli lo chef Antonio Guerra. Un’altra scommessa da vincere.

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