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Corriere Della Sera / Economia & Soldi

L’agricoltura salvata dalle donne. Una ventata femminile investe le campagne, dice la Fondazione Bellisario. E non sono più le «casalinghe rurali». Quasi un quarto delle aziende agro-alimentari è guidato da loro. Portano innovazione, creatività, marketing ... Il tremolio delle gambe non l'abbandonò neppure per un minuto quando all'hotel Four Season di Vancouver, in Canada, alzò il bicchiere di dolcetto d'Acqui Argusto con mano ferma. Era il 1981 e Giuseppina Viglierchio aveva due buoni motivi per essere agitata. Da un lato, compiuti da poco i quarant'anni, era alla prima esperienza internazionale come direttore commerciale. Dall'altro, a renderla nervosa era il fatto che tutti gli occhi erano puntati su di lei, perché negli Anni Ottanta, così come nei Novanta, le donne manager a capo di aziende agricole si contavano sulle dita di una mano. Acqua passata. Non solo l'emozione ha lasciato il passo all'esperienza e Giuseppina Viglierchio ha portato il Gruppo Banfi nella top ten delle imprese vinicole italiane con due aziende - la Castello Banfi a Montalcino e la Vigne Regali a Strevi, un fatturato di 45 milioni di euro nel 2001 (50 previsti per quest'anno), 200 dipendenti e una produzione destinata all'estero per il 50%. A essere cambiata, oggi, è anche e soprattutto la presenza femminile in agricoltura. Tramontata l'epoca delle «casalinghe rurali», stanno crescendo in modo esponenziale le «imprenditrici della terra». Vere e proprie manager che rilanciano il fatturato a colpi di creatività, innovazioni tecnologiche e nuovi prodotti. Delle 600 mila alla testa di imprese agricole italiane, una su due punta sull'inventiva, una su tre introduce in azienda software sofisticati e ancora una su tre potenzia l'offerta. A fotografare il fenomeno è una recente indagine condotta dal Censis per la Fondazione Marisa Bellisario. Trentasei-quarantacinquenni, diploma di scuola superiore, sposate o conviventi con due figli, in sette su dieci confessano di aver portato nell'impresa novità importanti per lo svecchiamento dei processi produttivi. Soprattutto nei settori della produzione, direzione e marketing dove rispettivamente il 75, il 60 e il 56% di donne introduce cambiamenti significativi. Nell'industria agro-alimentare - 2 milioni e 600 mila imprese per un giro d'affari di oltre 180 miliardi di euro (pari al 15,8% del Pil) - le donne, insomma, la scena la calcano da protagoniste: una squadra composta per il 30% da neoimprenditrici che hanno deciso di buttarsi nel business dell'agro-alimentare dopo aver fatto le più diverse esperienze professionali, e per il 70% da giovani che subentrano nell'attività di famiglia. Di salti nel buio ne sa qualcosa Isabella Tosato, due lauree e una carriera alla Stet (allora holding finanziaria della Telecom) come responsabile della comunicazione. Superati i cinquanta si è gettata tutto alle spalle per aprire un agriturismo in Toscana, presto diventato albergo a quattro stelle. Nel 1996 nella tenuta di famiglia in Val di Chiana, decide con i figli Stefano, ingegnere, e Giorgio, architetto, di lanciarsi in un'avventura che oggi definisce un investimento «con un ritorno economico a moltiplicatore». Più di un milione di euro spesi per ristrutturare dodici stanze e tre ettari di parco per una struttura che, con una decina di dipendenti, solo nell'ultimo anno ha fruttato 200 mila. La Tosato, che dedica a Villa Petrischio almeno tre giorni la settimana a tempo pieno, si occupa dei rapporti con la clientela, dell'organizzazione dei ricevimenti e sceglie in prima persona fiori, piante e arredi. «Nell'agro-alimentare - dice - la donna dà un contributo importante per quanto riguarda la scelta e la commercializzazione del prodotto. Attenzione alla qualità e grande spazio all'inventiva sono strategie che si rivelano vincenti». L'aveva già capito Pina Amarelli, amministratore responsabile della Amarelli Spa, l'antica azienda specializzata dal 1731 nella produzione di liquirizia, che negli Anni Settanta ebbe l'idea di utilizzare come contenitori scatolette di metallo con immagini antiche. E oggi continuano a battere nuove strade molte giovani neoimprenditrici. Come Paola Paccini, classe '69, che riesce a rilanciare l'azienda ortofrutticola Corte Paola di Marcaria, vicino a Mantova, con due scelte in controtendenza. Una dettata dal Dna, l'altra obbligata. «L'amore per tutto ciò che è naturale - spiega Paccini - mi ha spinta a mettere sul mercato prodotti ortofrutticoli biologici in un momento in cui, negli Anni Novanta, erano in pochi a farlo. La difficoltà di essere accettata in un mondo maschile mi ha portata, invece, a vendere il mio prodotto prevalentemente online». Ci sono, poi, le eredi di dinastie famose come gli Urbani e gli Antinori. Se il nonno Carlo ebbe l'intuizione geniale di mettere il tartufo in una scatola di latta e di esportarlo negli Stati Uniti alla fine della Seconda guerra mondiale, è di Olga Urbani il merito delle novità che hanno portato il Gruppo Urbani, leader nel mondo nella produzione e distribuzione di tartufi, nel terzo millennio. Dall'ideazione di una linea di prodotti tartufati destinati al grande pubblico, alla decisione di dotare l'azienda di software all'avanguardia, fino alla scelta di aprire le porte dell'ufficio per ascoltare, un'ora per due giorni la settimana, i problemi dei dipendenti. Classe '63, master postlaurea alla Columbia University e vent'anni in azienda gomito a gomito con il padre Paolo, Olga Urbani oggi è l'amministratore delegato di un'impresa da un fatturato di 30 milioni di euro l'anno, un incremento degli utili nel 2001 del 26%, otto filiali nei principali Paesi europei, più una negli Stati Uniti, una in Giappone, e una Brasile, 100 dipendenti e 7.000 cavatori. «E' un gioco di squadra - precisa l'imprenditrice -. Io punto sulla comunicazione all'interno dell'azienda, sulla qualità del prodotto e su un packaging a effetto sui mercati». Non è la sola a pensarla così. Sono, infatti, otto su dieci le manager agricole che individuano la loro forza proprio nella capacità di comunicare con i dipendenti e di presentare bene il prodotto ai clienti. Da qui anche la scommessa di cercare nuovi prodotti di nicchia. Così la ventiseienne Alessia Antinori, terza figlia di Piero, tra i principali produttori italiani di vino con un fatturato in crescita di 100 milioni di euro l'anno e discendente di una famiglia che svolge quest'attività da ben 26 generazioni. Insieme al papà e spinta dal desiderio di poter mettere sempre sul tavolo un prodotto con gli aromi di stagione, la giovane Antinori ha inventato l'«olio congelato». Facendo brevettare l'idea che, con uno smercio di 20 mila bottiglie l'anno per un fatturato di 130.000 euro, sta avendo successo in tutto il mondo. Non solo. Responsabile di una tenuta in Franciacorta, al VinItaly 2003 presenterà due nuovi vini. Ma non finisce qui. «In un settore considerato per molto tempo tipicamente maschile - mette in evidenza la presidente della Fondazione Bellisario, Lella Golfo - sta incominciando a crescere il numero di laureate in agraria. Dalle 560 del 1996-97 alle quasi 700 del 2000».

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