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Corriere Della Sera / Economia

Alimentare. Chi è partito alla conquista dell’America ... Pasta (+12%) e vino stanno facendo da battistrada al made in Italy. Ma servono qualità, reti di vendita capillari e divulgazione ai clienti... Il mercato statunitense è diventato più ricettivo per i nostri prodotti... Chi riuscirà a vendere meglio all’estero porterà più rapidamente in alto il business della sua azienda. Il concetto è ormai chiaro alle piccole medie imprese italiane, ma ogni comparto ha i suoi mercati trainanti su cui puntare e dove battere la concorrenza straniera. Nel settore alimentare, per esempio, gli Stati Uniti si confermano il paese dove il consumo di pasta è cresciuto di più (del 12% contro una media dell’1,5%). “L’evoluzione dei consumi alimentari che si registra negli Stati Uniti propone una grande chance per le aziende italiane del comparto - spiega Luigi Consiglio, presidente di Gea, società di consulenza per le Pmi -. Gli americani rappresentano inoltre una popolazione completamente digiuna di tradizioni e di cultura alimentare e non hanno le prevenzioni e le difficoltà ideologiche di altri popoli. Ma non sono sprovveduti. Per sedurli bisogna proporre sempre prodotti top di gamma”. Anche il falso è utile. L’alimentare italiano ha quindi davanti a sé l’opportunità di sfruttare a proprio vantaggio questa fiammata di entusiasmo per la gastronomia da parte degli statunitensi. Ma a certe condizioni. In tal senso bisognerebbe rivalutare il fenomeno del tanto vituperato “Italian Sounding”. È vero si tratta di una falsificazione dei prodotti italiani, però svolge anche un suo ruolo: mantiene vivo il mito e la popolarità del “food made in Italy” in un’America in cui la gran parte della popolazione non sa cosa sia il nostro cibo. Ed è per questo che perfino un fenomeno negativo può diventare un vantaggio se ben utilizzato. Altra carta fondamentale a disposizione dell’export italiano è il vino. Negli Usa è molto apprezzato, ma deve essere ben veicolato, c’è bisogno, ad esempio, di una chiave di identificazione tra vitigno e territorio. “Tutti i paesi emergenti hanno fondato il loro successo sulla simbiosi tra vitigno e territorio - conferma Consiglio -. Nella nostra produzione la connessione tra un vino ed il territorio da cui proviene resta un mistero, a eccezione dei vini di Toscana, Piemonte e solo in parte Veneto”. Il caso Antinori. In termini di strategie c’è anche chi ha scelto il mercato statunitense come quello più strategico, difendendolo anche quando gli Usa si sono chiusi a riccio, a causa del dollaro debole e di un’economia ancora convalescente. Oggi che gli Usa danno segni di ripartenza aziende come Antinori si ritrovano in una posizione di vantaggio. “Negli ultimi anni - spiega Alessia Antinori - per consolidare la nostra presenza nel mercato americano, abbiamo scelto come partner per la distribuzione un’azienda produttrice di vini, Ste. Michelle Wine Estate, perché aveva una maggiore sensibilità per gli aspetti produttivi. Il vino ha dei tempi che a volte non possono essere dettati da logiche commerciali”. Per adesso il mercato a stelle e strisce sta ripartendo e servono nuove strategie, magari più aggressive per evitare di lasciare il campo ai paesi emergenti. “Aumenteremo e potenzieremo il presidio diretto sul mercato. Continueremo ad investire in attività di marketing e promozione, che rappresentano una grossa fetta del budget totale destinato agli Usa. In particolare puntiamo molto sul consolidamento dei vini cru “da collezione”, sviluppando le relazioni con i grandi appassionati e gli opinion leader”. Nuova veste. Strategie di singole aziende all’avanguardia che devono diventare comuni all’intera industria del food italiano. “Bisogna saper fare un salto di qualità - continua Consiglio - puntando sul fatto che la cucina italiana è sana e perfetta dal punto di vista nutrizionale ed è inoltre semplice da preparare, perché più basata sulla qualità di ingredienti, che vuole rispettati, piuttosto che su preparazioni complesse che snaturano l’ingrediente. Thay, cinese, giapponese, indiana e soprattutto messicana sono le cucine più diffuse sul territorio americano. Sono cucine complesse, difficili da ripetere a casa, coprono gli ingredienti in modo pesante, ma hanno saputo mantenere una propria forte identità. Hanno conquistato gli americani finora. Oggi gli italiani devono sapere prendere quel posto con umiltà e determinazione”. In che modo? “Organizzando reti di vendita in grado di spiegare ai ristoratori l’utilizzo dei prodotti; rendere i prodotti disponibili per queste reti di vendita; preparare un merchandising divulgativo diretto ai consumatori; proporsi alla distribuzione americana di qualità (Costco whole foods e Wegmans) in raggruppamenti di più produttori coerenti, come una esperienza alimentare globale. Non più spaghetti, quindi, ma pasta alla “Norma”, non acciughe ma pasta con le sarde alla palermitana, con ingredienti correlati e spiegazione delle modalità di preparazione e della regione dove è nata”.

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