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Corriere Della Sera

I nuovi grandi vini nasceranno da uve autoctone. Con qualche sorpresa dai vitigni internazionali ... Licia Granello - una giornalista di «La Repubblica» cara, ieri, per le sue cronache sportive; ora, per le note enoiche e di cucina - ha dedicato un suo pezzo luglienco alla moda dei vini d’oltreoceano. Vini d’oltreoceano. Cita alcuni dei più noti - Philip Togni, Almaviva, Grange, Yattarna Penfolds, Claudy Bay, Kleine Costantia - senza inoltrarsi (e sarebbe stato davvero interessante) nella loro singola e singolare descrizione. Giunti da poco sul nostro mercato, trovano ascolto in coloro che, nei vini, cercano il passato e non il futuro. Io sono per il futuro. Voglio, ad ogni assaggio, un racconto che mi sorprenda, in primis, per la freschezza delle proposte. Quei vini invece, grandi? In qualche misura sì - li ho già sentiti, risentiti e strasentiti. Dal lavoro, lungo e non facile, per la scelta dei vini nuovi e migliori da far apparire nella mia Guida Oro «I Vini di Veronelli 2002», un risultato l’ho già: emergono i vini dei vitigni autoctoni, conosciuti e no. Cito: l’avanà, la bianchetta genovese, il carignano, il casavecchia, il fiano di Lapìo, il groppello, il magliocco, il nero d’Avola, il pallagrello, la passerina, il pelaverga, il premetta (valdostano), il prié blanc (anche valdostano), il pugnitello, il rouché, il timorasso, e il vitouska (carsico). Li ho citati in ordine alfabetico; molti altri potrei intromettere, più conosciuti (ad esempio, l’aleatico, il freisa, il montepulciano, il negro amaro...).
Gli industriali - gli ex-industriali, a onor del vero, perché tutti, ma proprio tutti, hanno appreso le mie lezioni ( ab initio con l’acquisto delle vigne) - si riconoscono, oggi, dal furore con cui impiantano cabernet sauvignon e chardonnay - convinti di poter ripetere le magie dei «miei» Sassicaia. Si impongono invece, giorno via giorno, i vini che hanno base, «le radici», nei vitigni del reale passato. Quelli che sino a ieri non avevano avuto successo. Perché? Prodotti con la volontà del molto e non del meglio non avevano la dote fattasi imperativo categorico: la qualità. Dagli le stesse cure che sono state riservate agli altri, ivi compreso il corretto uso del legno (scrivo di proposito il legno e non la barri que ) ed hai tutta una serie sbalorditiva per diversità e provocazioni di cru.
Attenzione! Vignaiolo io fossi non smetterei comunque di sperimentare vitigni internazionali. Vedi un po’, da Castagneto Carducci Michele Satta - un uomo che adoro per la parallela qualità dei vini e della famiglia musicofila - mi ha inviato in assaggio il suo Viognier 2000. Mi ha irretito. Gli ho subito scritto, 21 agosto: «Assaggio il Viognier 2000, ti telefono e non ti trovo. Spero che tu non voglia uscire col nome - banale - del vitigno. A me piacerebbe: Re Bianco».

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