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Corriere Della Sera

Vino, sfida al transgenico: dopo la direttiva dell’Unione europea che «apre» all’uva ogm. Quasi tutti sono contrari. Ma gli esperti avvertono: ci vorranno 20 anni ... Il primo brindisi col vino d’uva transgenica si farà, come minimo, fra una ventina d’anni. Ma l’Unione Europea prende atto che prima o poi le viti ogm usciranno dai laboratori di ingegneria genetica, e mette le mani avanti. Questa settimana è stato approvato a Bruxelles un aggiornamento della direttiva sulla commercializzazione delle piante. Per la prima volta si dà la possibilità di vendere nel territorio comunitario viti transgeniche, ma a patti molto precisi: «Soltanto - dice il testo del regolamento - se sono state adottate tutte le opportune misure atte a evitare rischi per la salute dell’uomo e dell’ambiente». La Commissione europea ha inoltre proposto l’introduzione di «procedure volte a garantire una valutazione specifica dei rischi», che devono essere definite in un regolamento che l’esecutivo Ue si è impegnato a presentare «il più presto possibile». L’approvazione della direttiva, bloccata lo scorso anno dall’allora ministro delle Politiche Agricole Alfonso Pecoraro Scanio, è curiosamente sfuggita all’attuale ministro Gianni Alemanno che ha dichiarato: «Il voto favorevole dell’Italia è stato espresso dagli uffici tecnici senza una mia specifica autorizzazione politica». Il ministro, però, non è pregiudizialmente contrario. «La direttiva - spiega Alemanno - non comporta pericolo per il consumatore perché prevede verifiche e autorizzazioni prima di consentire l’utilizzo di vitigni con organismi geneticamente modificati. Queste procedure sono soggette all’approvazione di un regolamento su cui ci muoveremo con determinazione, per garantire filiere ogm-free per il vino italiano».
«Comunque, ci vorranno almeno 10 anni perché compaiano sul mercato le prime piantine di viti transgeniche e come minimo altri 5 perché inizino a produrre uva» afferma Cesare Intrieri, docente di viticoltura all’Università di Bologna. In testa nelle ricerche in questo campo sono Stati Uniti e Australia. Lo scopo: ottenere portainnesti resistenti a infestanti. Verdi, Legambiente, Greenpeace, Slow Food, da sempre contrari agli ogm, hanno preso malissimo questa prima apertura europea alla vite transgenica, bollata da Pecoraro Scanio come una «scelta irresponsabile». Per altri, invece, la nuova normativa ha il pregio di avere posto indispensabili paletti. «Parliamoci chiaro», osserva Antonio Calò, direttore dell’Istituto sperimentale di viticoltura di Conegliano Veneto: «Prima o poi le prime viti transgeniche resistenti alle malattie usciranno dai laboratori. Perciò è meglio che l’Europa sia preparata e che ci siano regole ferme per commercializzare solo i prodotti che diano adeguate garanzie per la salute e per l’ambiente». Divise, come d’abitudine, le organizzazioni agricole. Da una parte Cia e Confagricoltura, pur contrarie al transgenico, reputano che la direttiva non rappresenterà un pericolo per la produzione nazionale connotata dalla qualità. Dall’altra Coldiretti è invece per un secco no nei delle superviti nate in laboratorio.

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