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Corriere Della Sera

Quando l'etichetta fa moda: quel bicchiere come status symbol ... Vista da una collina di Langa, questa vendemmia è molto diversa da come la descrivono giornali e tv. Sì, l’annata è stata anormale, i vecchi non ne ricordano una simile: tanto caldo, siccità, vento africano, il sole che ha bruciato le foglie persino delle acacie, l’albero più resistente e infestante. Ma l’annata promette bene: se i grappoli sono più piccoli perché c’è meno acqua, non bisogna dimenticare che la vite si esalta nella siccità (le sue radici vanno nel profondo e lo scorso anno non la smetteva più di piovere). Tutto qui, il resto è enfasi che ormai, puntualmente, come la grandine, si abbatte anche sul vino. Sì perché ormai il vino è qualcosa di più di una straordinaria bevanda (la migliore inventata dagli uomini); secondo i più consolidati meccanismi mediatici il vino è ormai quella roba lì, status symbol , elemento di costruzione personale e di personalizzazione dei consumi. Anche nei rapporti con il vino, il consumatore (un tempo si sarebbe detto, il bevitore) investe una forte dose di affettività: nei discorsi, l’accento è passato dalla presentazione dell’oggetto alla rappresentazione del suo consumatore ideale e del suo ambiente, alla messa in scena di stili di vita in grado di creare o rafforzare il significato simbolico del prodotto, di elevarlo a oggetto di culto. Quanto detto finora potrebbe far nascere un equivoco che occorre subito fugare. Il buon vino è anche la sua etichetta, è anche la sua bottiglia, è anche il suo bicchiere, è anche il suo territorio, è anche la sua ritualità. Basta non esagerare, altrimenti si corre il rischio, come ormai purtroppo succede in molti campi, che il contenitore diventi più importante del contenuto, che la griffe valga di più di un buon bicchiere. E questa sarebbe una disdetta perché in questi anni, a partire dallo scandalo del metanolo, il vino italiano ha vissuto un periodo straordinario e il livello espresso da migliaia di realtà produttive, nelle zone tradizionalmente vocate come in aree considerate minori, è di assoluta eccellenza, al pari, se non meglio, dei grandi vini di Francia. Oggi il vino è una moda e le mode non si preoccupano troppo se il vino è una delle espressioni più alte della cultura materiale, memoria di una civiltà antica, tratto saliente dell’identità del nostro Paese. Il vino è tale solo se si può dire che «ha stoffa vitale ma con tannini soffici e armoniosi e un apporto fine del rovere». Il vino è tale solo se si può roteare il calice sospirando di aromi fruttati, di note di vaniglia, noci, miele, albicocche secche, caffè, marmellata di frutta bianca, di combinazione accattivante di freschezza e maturità. Come faceva il grande Antonio Albanese in una delle sue parodie più riuscite e intelligenti, quella dell’assaggiatore di vini. Il vino, nella tradizione sapienziale, è elemento di saggezza: non è moda ma «modus» cioè misura, moderazione, regola aurea.

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