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Corriere Della Sera

Il perchè di un successo: da Mondavi a Ford Coppola, ecco i nuovi vignaioli ... La terra non vale nulla se non c’è l’uomo che la valorizza. Vale per tutti i territori vitivinicoli del mondo e, in particolare, per la California, che ha conquistato un ruolo di primo piano nell’enologia grazie all’apporto dei personaggi più disparati. L’avventura del vino è stata un’epopea non meno avvincente della corsa all’oro. E, come quella, ha avuto i suoi pionieri. I primi sono i frati spagnoli francescani delle missioni che, tra la fine del ’700 e il 1830, piantano vitigni, poi risultati modesti. Jean Luis Vignes ( omen nomen , il signor vigne appunto) intorno al 1850 importa vitigni di qualità e avvia una sperimentazione. La crescita, graduale, viene arrestata alla fine del ’800 dalla fillossera (l’insetto che distrusse la viticoltura) e, più avanti, dal proibizionismo. Ma il processo è iniziato. In quell’epoca eroica coltivano la vite persone come Gustav Niebaum, mercante di pellicce finlandese che poi venderà a Francis Ford Coppola; o come George de Latour, proprietario di Beaulieu, che per vendere il vino negli anni proibiti si allea con la chiesa cattolica, e che ingaggia André Tchelistcheff, enologo di origine russa che introduce l’uso della barrique e della fermentazione malolattica. Dopo la seconda guerra mondiale, i protagonisti della rinascita sono Robert Mondavi (origini italiane) Joe Heitz e Dick Graf (autore di Chalone). E qui entra in gioco il pragmatismo Usa: chi fa vino si concentra nella produzione di qualità, prende a modello i grandi francesi, i bianchi della Bourgogne e i rossi del Bordolese, adotta gli stessi vitigni (chardonnay e cabernet) e tecniche moderne di vinificazione, fa un uso esasperato della barrique. La regia tecnico-scientifica è dell’università di Davis, dove si studiano i luoghi più idonei alla coltivazione nelle contee di Napa e Sonoma e nella Central Valley. I risultati sono ottimi: chardonnay e cabernet danno grandi risultati anche fuori dalla terra d’origine. A quel punto, perché i californiani partano alla conquista del «vecchio mondo» manca solo un ingrediente: la credibilità. Da principio nessuno dà credito ai vini yankee, «senza storia né terroir ». Ma i californiano usano le degustazioni alla cieca, blind tasting , e sparigliano le carte. Troppo facile usare il valore aggiunto della fama e della storia: i vitigni sono gli stessi, dunque i vini si possono confrontare. Ed ecco avverarsi l’impossibile: i vini californiani mettono in fila Château e Domaine francesi. In qualche modo gli americani portano la democrazia nell’aristocratico mondo del vino. Il marketing si sposta dal terroir , l’origine, al varietal , il vitigno. Chardonnay e cabernet «made in Usa» s’impongono nel mondo; cambiano i connotati all’enologia di casa nostra. Oggi molti vecchi vini dell’Enotria hanno l’accento americano.

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