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Corriere Della Sera

La rivolta dei francesi: no alla vite transgenica. Gli scienziati vogliono eliminare il virus che colpisce un terzo delle coltivazioni. Alsazia, esperimento in una vigna blindata
L’area contestata ha le misure di un campo di basket. A Colmar, nel cuore dell’Alsazia, tra Strasburgo e Mulhouse, i vignaioli insorgono. Settanta viti geneticamente modificate sono state piantate da un gruppo di scienziati guidati da uno di loro, Jean Masson. L’obiettivo è sconfiggere il dannoso virus «court-noue», dell’arricciamento, che affligge un terzo delle vigne francesi. Il fronte dei contrari insorge anche sulla scia del movimento protezionista di José Bové. Lo spauracchio dell’agricoltura genetica, qui, in un’area che produce vini unici, aromatici, generalmente secchi e fedeli alle caratteristiche delle singole varietà di uva, Riesling, Gewurztraminer, Tokay-Pinot Gris, è vissuto quasi con angoscia.

LA CONTESTAZIONE - Il campo di basket incriminato è stato volutamente coperto ed è controllato da telecamere. Questo non ha fatto altro che aumentare i sospetti, anche se sono stati proprio gli ambientalisti a chiedere queste misure di tutela per evitare che animali e intrusi in qualche modo possano portare via parti delle piante usate nei test e inquinare i vigneti confinanti. «Siamo furiosi, questa sperimentazione ci è stata imposta - spiega il produttore Pierre-Paul Humbrecht -, nessuno ci ha informato dei rischi. Temiamo per i nostri vini». Il discendente di una delle famiglie più importanti, con Hugel, Josmeyer e Trimbach, ha considerato questa novità come un autentico nonsense nei confronti della propria attività, nel momento in cui, dopo aver sposato la causa biologica, si sta avvicinando alla biodinamica. L’allarme vale per i proprietari delle 1.500 vigne che caratterizzano buona parte di queste colline, ma anche per tutti gli altri, che temono contaminazioni e dunque danni all’immagine. «Vi garantiamo che queste viti non daranno uve e tantomeno saranno utilizzate per produrre vino»: cercano così di gettare acqua sul fuoco gli scienziati dell’Istituto nazionale di ricerca agricola. Ma la diffidenza resta, anche perché nel 1999 lo stesso gruppo dovette interrompere i primi test su vigne nella regione della Champagne. «Non facciamo terrorismo - replica Masson -, i nostri studi sono sicuri».

LA SCIENZA - È il professor Leonardo Valenti, docente di viticoltura alla facoltà di Agraria di Milano, che spiega: «La trasmissione virale dei nematodi avviene attraverso i portainnesti, il conosciuto 41B, per metà americano e per metà europeo, utilizzato nelle vigne alsaziane. Questi agenti pungono la radice, trasmettendo l’infezione che impedisce alla pianta di crescere sana». Appurata la poca resistenza del 41B, il tentativo dei tecnici francesi sta dunque nel creare, ora, una proteina che possa opporsi al virus incriminato. Un caso europeo, che coinvolge anche il nostro Paese. «Purtroppo - aggiunge Valenti - l’opinione pubblica sugli ogm è divisa e poco informata. Personalmente sono favorevole, allorché non vengano modificate le prestazioni qualitative e produttive delle varietà, ma al contrario migliorate. I rischi esistono, ma occorre confrontarsi con l’innovazione, salvaguardare la tradizione e considerare caso per caso».

GLI SCHIERAMENTI - Marc Hugel scuote la testa: «Una questione di stile, siamo francesi». E Carlin Petrini, numero uno di Slow Food, è tutto per i vigneron transalpini: «Da questa vicenda si può trarre un solo messaggio: il dialogo fra regni, quello dei saperi tradizionali che deve necessariamente incontrare quello della scienza ufficiale». Una linea spesso prevaricata. «Il metodo in questo caso è sostanza, non è tollerabile ignorare le ragioni dei produttori, per loro quei terreni sono la vita, giusto dunque coinvolgerli e avvisarli. Altrimenti è l’eterna battaglia tra gente che non si capisce».

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