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Corriere Della Sera

Doc addio, la rivoluzione dei vini «creativi». Le novità a quarant’anni dalla prima bottiglia certificata. «La tradizione? È diventata una zavorra». Mescolano i vitigni senza lasciarsi condizionare dall’origine. E cambiano la cultura del bere ... Era il 6 maggio 1966, le campane suonarono a festa nella città delle cento torri: sulla Gazzetta Ufficiale veniva pubblicato il testo che regolamentava la prima doc, la Vernaccia di San Gimignano. Vino bianco e toscano, il primo ad essere messo su un piedistallo. Ma a 40 anni esatti da quella «rivoluzione», ecco che se ne avvicina un’altra: quella dei vini «creativi», che stanno prendendo il posto di tante blasonatissime doc. Una buona fetta dei produttori, infatti, cominciano a ritenere che le doc non siano così perfette come si credeva: hanno regole troppo strette, sono «statiche» e non consentano di seguire un mercato, come quello del vino, in continua evoluzione. La tendenza che emerge in maniera spiccata è allora una trasmigrazione dalle doc alle igt (indicazione geografica tipica), le nuove bottiglie: una specie di doc ma con regole più blande, più flessibili, che lasciano spazio alla creatività dei viticoltori, senza il peso della tradizione (che spesso diventa zavorra). Così la seconda «rivoluzione» rende possibile, per esempio, sposare vitigni autoctoni con vitigni internazionali, o interamente internazionali (cabernet, merlot, chardonnay, syrah, ecc,) e lanciare la sfida ai viticoltori californiani e australiani - gli «ossi» più duri - sul loro stesso terreno, senza lasciarsi troppo condizionare dall’origine. E i numeri premiano: quasi un quarto del vino italiano oggi appartiene a una igt.
IL «SALTO» - Tutto è partito da lì, dalle doc, nate 40 anni fa. Doc è l’acronimo che sta per denominazione di origine controllata, una legge e un sistema che hanno rivoluzionato il vino italiano, sottraendo a un generico anonimato i vini più meritevoli, caratteristici e storici, tutelandoli con apposite regole. A quella prima doc se ne sono aggiunte molte altre, tanto che ora se ne contano quasi 350. E doc è entrato nel linguaggio comune, persino Renzo Arbore ci aveva scherzato sopra chiamando una sua trasmissione «Doc». Nel 1980 è nata poi una nuova categoria, la docg, evoluzione di doc dove quella «g» sta per «garantita», e contraddistingue una categoria di «super doc» con produzione ridotta e caratteristiche speciali. La prima è stata destinata al Brunello di Montalcino, e a da allora poco a poco anche la schiera dei docg si va ingrossando, anche se rappresentano meno del dieci per cento del totale delle doc.
LA NUOVA SFIDA - Dopo quarant’anni la formula delle doc ? docg funziona ancora? Si sono interrogati in proposito esperti, funzionari, vignaioli e industriali, radunati a San Gimignano per i festeggiamenti del quarantennale. Le doc hanno sostanzialmente tenuto, anche se con grosse distinzioni. Un quarto del vino italiano si fregia della denominazione, ma delle oltre 350 doc meno della metà funzionano a pieno ritmo, altre «zoppicano», alcune addirittura esistono solo sulla carta. La realtà è che le doc crescono e aumentano il valore aggiunto del prodotto laddove ci sono dei consorzi di tutela della denominazione. E i consorzi di tutela, raggruppati sotto la Federdoc, presieduta da Riccardo Ricci Curbastro, reclamano maggiori poteri per i controlli delle doc. Ma il vero problema è un altro. La seconda rivoluzione dei vini «creativi» affonda le sue radici soprattutto nello stravolgimento delle regole del mercato. La globalizzazione ha cambiato tutto: i vini stranieri buoni e a prezzi ragionevoli (specie del Nuovo mondo) spingono e sottraggono al vino italiano spazi sempre più ampi. Che fare allora? Da una parte i consorzi di tutela spingono per aumentare le difese a favore di doc e docg, magari diminuendone drasticamente il numero, e modificando in senso restrittivo l’attuale regolamentazione. Dall’altra i viticoltori hanno scoperto terreni nuovi: le igt, il vino «creativo».

I doc storici
Vernaccia di San Gimignano - Panizzi
Sassicaia - Tenuta San Guido
Franciacorta Riserva Valentino Majolini - Majolini
Barolo Monfortino Riserva - Conterno

I nuovi creativi
La Grola - Allegrini
Lupicaia - Castello del Terriccio
Tignanello - Antinori
Chardonnay - Planeta

A ciascuno il suo calice
Cristallo ... Il calice giusto dev’essere trasparente, incolore e possibilmente di cristallo. Il gambo lungo evita il contatto delle dita con la superficie del calice, che rischia di riscaldare il vino
Da bianco ... Per degustare un vino bianco serve un bicchiere di medie dimensioni, con imboccatura non molto grande per cogliere i profumi di fiori e frutta a polpa bianca
Da rosso ... Calice simile a quello per i bianchi, ma leggermente più grande, per i rossi non invecchiati; calice «panciuto» per quelli di grande invecchiamento.


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