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Corriere Della Sera

Io, winemaker, pronto a farmi da parte ... Guru, Icona, Re Mida, Mago Merlino, Slot Machine... nel boom italianissimo della figura dell’Enologo di grido, c’è un pizzico di tutto questo e altro ancora. Lo vedi negli occhi avidi del giornalista, del cliente, dell’”esperto” quando grave interroga il produttore, spesso un ottimo e un po’ smarrito vignaiolo: “Scusi, chi è il suo Enologo?”. Nulla di grave. Potenza del Mercato. Sarebbe però tempo di cambiare domanda: “Scusi, che fa il suo Enologo?”.
Per carità, sia chiaro, non esistono i dieci comandamenti del buon winemaker. Iniziando dal nome, che io preferisco così per semplice conseguenza della mia personalissima idea dell’Enologo. Che appunto dovrebbe essere un architetto del vino, forse ancor meglio un sarto. Insomma un fior di professionista che sa ascoltare una terra e i suoi uomini, un terroir e i suoi inferi, una vigna e il suo proprietario, la sua cantina e le sue passioni. Una volta ascoltati, poi, li dovrebbe capire, interpretare, curare e accompagnare sino alla firma finale e al supremo risultato: ecco a voi l’identità e lo stile, il design e l’abito con il quale sarà bello stare al mondo. Ecco i colori, i toni, le sfumature, i profumi, i modi con i quali il tuo vino risplenderà in società. Fin qui ti ho accompagnato: ora tocca a te. Mai e poi mai (mai!!) vorrei un contratto per sempre, una consulenza eterna, una gallina dalle uova tanto dorate quanto noiose. Perché questo - credo - deve volere un vero professionista, un architetto, un sarto o un alchimista della terra e del vino. Ricercare. È la curiosità che si fa passione, la ricerca che si fa febbre, l’intuito che si fa adrenalina a fare grande (o piccolo) l’artigiano del vino. Il resto, alla fine, è noia. Oppure è cassa, e io dico per carità viva la cassa, viva la ripetizione e la resa, mai saremo noi a disprezzare il mercato dove è giusto che il Gusto regni sovrano. Ma non sarà più una vera avventura per il buon winemaker. Che, lo dico senza poesia perché non è che la cosa mi renda particolarmente felice, resta sempre un ramingo, un errante, un solitario.
Il winemaker per me cerca ed aspetta il terroir come il surfista attende l’onda che non è mai giusta. Perciò, per quanto mi riguarda, ci fu un tempo nel quale restai a lungo in panchina. A quell’epoca piacevano solo i mari calmi, ripetibili e omologati. Tutti i vini si perdevano in quel gusto unico, e noi poveretti eravamo guardati con un po’ di sufficienza. Gli ultimi dei mohicani, i romantici del terroir, i cercatori di differenze a tutti i costi. Differenze nei minerali, nei venti, nelle tecniche... Sì, proprio come quei poveretti allungati su una spiaggia del Pacifico, aspettando l’onda più travolgente del mondo, intenti perciò a studiare ogni onda nella sua diversità.
Stupidini, eravamo un po’ stupidini. Tutte le onde sono uguali e alla gente piace fare il bagno con la stessa onda, ci dicevano “tutti”. Eravamo quasi, noi “terroiristi”, dei prepensionati del vino di un tempo. Ma oggi son contento. Nella vite e nella vita, tutto è ciclico. Ora sono tornati a cercare tutti il diverso, ora si riscopre che ogni vino davvero ben fatto è unico, irripetibile, un miracolo in sé, capace di raccontare terre e uomini.
Perciò, ed in conclusione, io penso che il winemaker dei miei sogni quando vince debba fare un passo indietro. Proprio perché non ha omologato anche l’ultimo vino, ha saputo cercare ed esaltare diversità e identità rendendo più specifico e leggibile anche il vino che poteva apparire banale, ha saputo far specchiare nel suo vino l’uomo che lo cura e lo produce e lo vende essendone “il proprietario”, proprio adesso il winemaker dei miei sogni (ma ripeto: non esiste un decalogo del buon winemaker) si toglie dimezzo. Il vero successo del winemaker è quando fa di un vino il protagonista, e a quel punto lui deve uscire di scena. Perché il protagonista è il vino, non lui. A lui, resta solo (solo?) l’ambizione più alta. Ricominciare a cercare il fuoco, per rubarlo. Da solo, con le sue idee, nelle terre più impensate. Ricercare, ricercare. Né Guru, né Re Mida, siamo degli erranti nell’errore. E ogni tanto, forse per sbaglio, l’azzecchiamo.

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