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Corriere Della Sera

Il governatore della Lega non vuole il Barolo di Cavour … Il vino prodotto nello storico vigneto voluto dal conte Camillo Benso. Al premio Grinzane, prima degli scandali. Le bottiglie donate agli scrittori… Stop dal piemontese Cota. E i produttori scrivono al Quirinale… “Se in Francia avessero lo Champagne della vigna di Napoleone, ci farebbero un tale chiasso attorno...” sorride amaro Bruno Ceretto. In Italia invece abbiamo davvero il Barolo della vigna di Cavour. Eppure, a 150 anni dalla nascita della Nazione - e dalla morte del conte -, non lo vuole nessuno. Oltre che padre della patria, Cavour lo è anche del Barolo. A Grinzane Cavour, il paese di cui fu sindaco e che ne porta il nome, c’è ancora il terreno con la vigna da cui ebbe inizio la storia di uno tra i vini più prestigiosi al mondo. L’astuto Giuliano Soria l’aveva valorizzata, facendone un’etichetta finita nelle case dei grandi scrittori. Poi la spregiudicata vicenda del premio Grinzane è finita con gli scandali, il carcere, il processo. Il Barolo di Cavour è rimasto orfano. Ed è stato adottato dalla Regione Piemonte e dai vignaioli. A turno, un anno a testa, gli allievi della scuola enologica e i produttori della zona (prima i Rosso, poi i Ceretto, quindi la cooperativa Terre del Barolo) si sono presi cura della vigna, gratis. L’annata 2002 è stata venduta all’asta e i proventi sono andati a un’iniziativa benefica per i bambini ricoverati al Sant’Anna di Torino. L’annata 2003 l’hanno voluta gli svedesi. La Regione ha rilevato 2.500 bottiglie dell’annata 2004. Mai uscite dalle cantine, però. Le altre annate attendono nelle botti di conoscere il loro destino. Perché al governo del Piemonte è arrivata la Lega. Che il vino di Cavour non lo vuole; almeno finora. “l-lo scritto al presidente Cota e al comitato per i 150 anni - racconta Claudio Rosso -. Non ho avuto risposte. Le bottiglie restano li nelle nostre cantine, nessuno indica come etichettarle e cosa farne. Allora ci siamo rivolti al Quirinale”. Rosso, Ceretto, la cooperativa del Barolo, la scuola enologica, il sindaco di Grinzane e quello di Alba hanno scritto a Napolitano, chiedendo il suo intervento. L’impressione dei langaroli è che la lettera non sia mai arrivata nelle mani del presidente: la risposta è giunta dai suoi uffici, sommersi da migliaia di missive sui 150 anni. II Quirinale informa che la questione è di competenza del presidente del Consiglio, e quindi la lettera è stata girata a Palazzo Chigi. Si attende fiduciosi la risposta di Berlusconi. La vicenda è a suo modo istruttiva. I vignaioli delle Langhe non sono dei sovversivi: Ceretto è stato assessore alla Cultura nelle giunte di centrodestra ad Alba, le cooperative della zona sono rigorosamente bianche. Semplicemente, hanno a cuore le radici, la tradizione, la storia della loro terra, che in questo caso fortunato coincidono con quelle della patria comune, e del suo artefice. E quindi dovrebbero stare a cuore anche alla Lega. Forse è colpa solo della burocrazia. O delle poste. Di sicuro, il conte non se lo merita. Lui che non usò mai l’appartamento di rappresentanza che gli spettava, preferendo invitare gli ospiti a sue spese, sarebbe felice di sapere il suo Barolo sulle tavole dei capi di Stato, e non nel chiuso del sottosuolo, senza etichetta, rifiutato dai suoi ignari posteri.

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