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Corriere Della Sera

Dalla michetta al cafone. Quei 300 tipi cli pane che fanno l’Italia unita …Il sondaggio La Confederazione degli agricoltori e l’emblema nazionale ... Per il 50% è il cibo che rappresenta il Paese ... Se ne butta via tanto, troppo. Senza riguardo. Allora spunta la vecchia frase retorica (ma veritiera) ad esaltare “il pane sudore della fronte”, in difesa di questo alimento quotidiano, che, pur bistrattato, resta il cibo per eccellenza del Bel Paese. Quasi il 50 per cento degli italiani, infatti, lo ha eletto ad emblema nazionale. Il dato emerge da un’indagine della Cia (Confederazione italiana agricoltori), che s’inserisce nel tema enogastronomico, ricorrente tra le numerose iniziative messe in cantiere per i 150 anni dell’Unità: il piatto tricolore più votato, i menu celebrativi proposti dai ristoranti, i vini di Cavour e di Garibaldi. La ricerca della Cia sull’alimento top è stata presentata a Torino nell’ambito della Festa nazionale dell’Agricoltura. Il pane trionfatore, tra l’altro, ha battuto la pasta che ha registrato il 23 per cento delle preferenze. Pane odiato/amato: mentre i panificatori scarseggiano (ne mancano all’appello 4.000 per un mestiere che comporta sacrifici e che i giovani italiani non vogliono più fare), il prodotto di qualità sta vivendo un momento di gloria.
D’altronde, non c’è Paese che possa vantare come l’Italia circa 300 specialità regionali dipani, dalla forme e dai nomi più strani. Il disamore, insomma, parrebbe colpire più i fornai che i consumatori avveduti e curiosi. Che danno la preferenza ai pani artigianali (L’Italia del pane di Slow Food censisce gli autentici panettieri, da Nord a Sud), acquistati nelle botteghe cittadine sopravvissute al supermarket, oppure durante i viaggi gourmet (secondo la Cia, il 36 per cento degli italiani, durante le vacanze, acquista pani tipici locali), sui banchi delle fiere dedicate. Il 24/25 settembre, per dirne una, al castello di Montesegale, centro del Pavese già noto per il suo “pansegale”, che si fregia della De.Co (Denominazione di origine comunale), verrà presentata, nell’ambito dell’evento “Paesaggi e prodotti De.Co”, un’altra specialità locale, la “tréssa”, cioè la treccia. Si tratta di un pane comune, che viene chiamato anche miccone quando il suo peso raggiunge il chilogrammo. E’ una pagnotta sapida, con aroma ben distinto di pasta lievitata, crosta spessa e mollica bianchissima, soffice ed elastica. Per inciso, il miccone figura tra i pani più rappresentativi delle regioni italiane in una pubblicazione curata dal Consorzio del Prosciutto di San Daniele, con la quale ha celebrato i propri 5° anni e i 150 dell’Italia unita. Per fortuna, sono tanti i pani tipici che resistono alla frenesia gastronomica della contemporaneità. Che sforna michette, rosette, filoni, zeppi di additivi, già raffermi quando ancora dovrebbero essere freschi. Si può ben dire, allora, che è l’Italia della resistenza alimentare quella rappresentata dai fornai che ancora coltivano l’arte bianca. Nel commentare il risultato dell’indagine che ha portato il pane sotto i riflettori, la Cia ne mette in rilievo anche il valore storico: “Non solo rappresenta una delle componenti primarie della nostra alimentazione, ma anche perché nessun altro elemento è in grado di raccontare meglio l’evoluzione e i cambiamenti socio-economici che hanno caratterizzato i 150 anni della storia italiana”. Dalla rivolta del pane nel 1898 agli anni del pane nero, razionato, durante la Seconda guerra mondiale; dal pane speciale che, secondo una legge del 1967, poteva essere fatto con pochi e determinati ingredienti. Fino al pane “liberalizzato”, che ha tolto le restrizioni al processo di preparazione. In 150 anni i consumi pro capite di pane sono notevolmente scesi ma ancora oggi 4 italiani su 5 lo comprano e lo mangiano, ogni giorno. Nel 1861 se ne mangiava un chilo al giorno circa, spendendo 30 centesimi di lira al chilo. “Ai tempi nostri - osserva la Confederazione italiana agricoltori - il consumo è sceso a 120 grammi a persona, con un prezzo medio di 2,50€ al kg”.

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